L'OFFERTA
DI ABRAHAMO
di George Whitefield
"L'Angelo
disse: Non stendere la tua mano contro il ragazzo e non gli fare alcun
male; ora infatti so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato
tuo figlio, l'unico tuo figliuolo" (Genesi 22:12).
TESTO
COMPLETO: Genesi 22:1-12.
L'apostolo Paolo ci informa, in una delle sue epistole, che "tutto
ciò che fu scritto nel passato, fu scritto per nostra istruzione,
affinché mediante la pazienza e la consolazione che ci provengono
dalle Scritture, conserviamo la speranza" (Romani 15:4). E che
senza fede è impossibile piacere a Dio, o essere accettati
in Gesù, il Figlio del Suo amore; possiamo essere certi che
tutti gli esempi di una fede più che comune riportati nella
Parola di Dio, sono stati ispirati dallo Spirito Santo perché
noi li apprendessimo e li imitassimo. Per questa ragione, l'autore
dell'epistola agli Ebrei, nel capitolo 11, fa un mirabile elenco di
santi e martiri dell'Antico Testamento, "i quali per fede conquistarono
regni, praticarono la giustizia, ottennero l'adempimento di promesse,
chiusero le fauci dei leoni" (Ebrei 11:33) e sono andati avanti
a noi nell'ereditare le promesse. Una confutazione sufficiente, credo,
per quanti stimano che i santi dell'Antico Testamento non possano
essere menzionati ai Cristiani come esempi di fede e perseveranza
da seguire. Se così fosse, l'apostolo non avrebbe mai citato
una così gran folla di testimoni dall'Antico Testamento, per
spronare i primi Cristiani, i credenti dell'epoca più pura
della chiesa, a continuare con passo fermo e senza lasciarsi smuovere
dalla loro fede. Credo che in questo elenco di santi il patriarca
Abrahamo sia quello che risplende più fulgidamente, e differisce
dagli altri come una stella differisce dall'altra in gloria; poiché
brillò di una luce tale da essere chiamato "amico di Dio",
e "padre dei fedeli"; e di coloro che credono in Cristo
è scritto che sono "figli di Abrahamo" (Galati 3:7)
e "figli dei profeti e del patto che Dio stabilì con i
nostri padri, dicendo ad Abrahamo: 'E nella tua progenie tutte le
nazioni della terra saranno benedette'" (Atti 3:25). Molte furono
le prove di fede che Dio fece attraversare a questo grande e fedele
uomo, dopo avergli comandato di lasciare il suo paese e i suoi familiari,
e di andare nel paese che Dio gli avrebbe mostrato (cfr. Genesi 12:1);
ma l'ultima fu la prova più dura di tutte, e cioè l'offerta
del suo unico figlio. Questo argomento sarà, con l'aiuto del
Signore, al centro della nostra meditazione di oggi e mi propongo,
alla fine, di trarre degli insegnamenti pratici dalla storia di questo
servitore di Dio.
Lo scrittore
ispirato dallo Spirito Santo inizia così la narrazione, al
verso 1: "Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abrahamo"
(Genesi 22:1). Dopo queste cose, cioè dopo che Abrahamo ebbe
attraversato nella sua vita numerose e dure prove, ora, nella sua
vecchiaia, sazio di giorni, poteva illudersi forse che i problemi
e gli affanni della vita fossero finiti: ma "dopo queste cose,
Dio mise alla prova Abrahamo". Cristiani, voi non sapete quali
prove potete incontrare prima di finire i vostri giorni: nonostante
possiate aver già sofferto, ed essere già stati provati
molto, può esserci ancora una prova maggiore da affrontare.
"Non insuperbirti, ma temi" (Romani 11:20). Le nostre ultime
prove, con ogni probabilità, saranno le più difficili:
e non possiamo mai dire che la nostra lotta è conclusa, o che
le nostre prove sono finite, fino a quando non abbasseremo il capo
e renderemo lo spirito. "Dopo queste cose, Dio mise alla prova
(le vecchie versioni hanno "tentò", N.d.T.) Abrahamo".
Dio tentò Abrahamo: ma può la Scrittura contraddirsi?
L'apostolo Giacomo non ci dice forse che Dio non tenta nessuno, e
che Dio non induce nessun uomo a compiere il male, e a peccare (cfr.
Giacomo 1:13) ? "Invece ognuno è tentato dalla propria
concupiscenza che lo attrae e lo seduce" (verso 14). Ma in un
altro senso, è detto che Dio può tentare, nel senso
di mettere alla prova, i suoi servitori; e in questo senso possiamo
comprendere quel passaggio in Matteo 4:1 dove ci viene detto che "Gesù
fu condotto dallo Spirito (lo Spirito Santo di Dio) nel deserto, per
essere tentato dal diavolo". E nostro Signore, in quella bellissima
preghiera che si è compiaciuto di insegnarci, non ci ha detto
di pregare di non essere affatto tentati, ma di essere liberati da
essa e dal male che è in essa; possiamo quindi dedurne che
Dio in certe circostanze trova utile che siamo tentati, cioè,
che veniamo a trovarci in particolari circostanze per mettere alla
prova la nostra fede e le altre grazie in Cristo. I versi letti vanno
intesi dunque in questo senso: "Dio tentò, cioè
mise alla prova Abrahamo".
Non ci è
detto in che modo Dio si compiacque di rivelare la Sua volontà
al Suo fedele servitore, se mediante la Shekhinah, ossia la presenza
divina, o tramite una voce dolce e sommessa, come fece con Elia (cfr.
1 Re 19:12), o mediante un sussurro, come fece lo Spirito Santo quando
comandò a Filippo di raggiungere il carro dell'eunuco. Ci basti
sapere Dio gli disse: "Abrahamo"; e che Abrahamo sapeva
che quella era la voce di Dio, poiché rispose: "eccomi".
Oh quale santa familiarità (se così posso esprimermi)
c'è tra Dio e quelle sante anime che sono unite a Lui mediante
la fede in Cristo Gesù! Dio dice: "Abrahamo"; e Abrahamo
risponde (apparentemente senza alcuna sorpresa): "eccomi".
Essendo riconciliato con Dio mediante la morte e l'obbedienza di Cristo,
nella quale si rallegrò, e vide per fede anzi tempo, non fece
come il colpevole Adamo, nascondendosi tra gli alberi del giardino
per nascondersi, ma anzi si rallegra nel conversare con Dio, e parlare
con Lui come un uomo parla col suo amico. Oh se i peccatori senza
Cristo sapessero cosa significa avere comunione con il Padre ed il
Figlio! Invidierebbero la gioia dei santi, e reputerebbero una grande
gioia essere etichettati come fanatici e pazzi per causa di Cristo.
Ma cosa disse
Dio ad Abrahamo? Verso 2: "Prendi ora tuo figlio, il tuo unico
figlio, colui che tu ami, Isacco, va' nel paese di Moriah e là
offrilo in olocausto sopra uno dei monti che io ti dirò".
Ciascuna parola merita una considerazione particolare. Quello che
deve fare, deve farlo subito, immediatamente, senza conferire con
carne e sangue. Ma cosa deve fare? "Prendi ora tuo figlio".
Se Dio avesse detto: "prendi ora il primo nato, il migliore agnello
o bestia del tuo gregge, e offrilo in sacrificio", non sarebbe
sembrato un comando tanto terribile; ma il fatto che Dio abbia detto:
"prendi ora tuo figlio, e offrilo in sacrificio", si può
immaginare che potesse scuotere anche la fede più forte. Ma
non è tutto: non deve essere solo un figlio, ma "il tuo
unico figlio, colui che tu ami, Isacco". Se deve essere un figlio,
e non un animale, quello che deve essere offerto, perché non
Ismaele, il figlio della serva? No, deve essere il suo unico figlio,
l'erede di tutto, il suo Isacco (nome derivante da una parola che
significa "ridere"), il figlio della sua vecchiaia, nel
quale l'anima sua si deliziava, "colui che tu ami", disse
Dio, e nella cui la vita era avvolta quella di Abrahamo: e questo
figlio, quest'unico figlio, Isacco, il figlio che amava, deve essere
ora preso e, proprio adesso, portato senza tardare per essere offerto
in olocausto, su uno dei monti scelti da Dio.
Ben poteva
l'apostolo, parlando di quest'uomo di Dio, dire che "sperando
contro speranza, credette
senza venir meno nella fede
e diede gloria a Dio" (Romani 4:18-20). Poiché, se non
fosse stato benedetto con una fede che nessun uomo prima aveva mai
avuto, avrebbe rifiutato di eseguire questo severo comando. A quante
scuse sarebbe stato possibile pensare per dimostrare che questo comando
non veniva da Dio, o per scusarsi e poter disobbedire! "Cosa!
(avrebbe potuto pensare) Uccidere il mio unico figlio! È una
cosa contraria a ogni legge della natura: tanto più uccidere
il mio caro figlio Isacco, in cui Dio stesso mi ha promesso una posterità
numerosa. Ma anche supponendo di poter rinunciare al mio amore per
lui, e sebbene io gli sia così affezionato, se lo uccido che
ne sarà della promessa di Dio? Inoltre, ora sono come una città
costruita su un monte; splendo come una luce nel mondo, nel mezzo
di una generazione storta e perversa: come posso essere causa di bestemmia
per il nome di Dio, e diventare uno zimbello tra i pagani, quando
vedranno che ho commesso un crimine che anche loro aborriscono! Ma,
oltre tutto, cosa dirà mia moglie Sara? Come potrò mai
tornare da lei, dopo aver sparso con le mie mani il sangue del mio
caro figlio? Oh Dio mi perdoni per questo, o prenda la mia vita al
posto di quella di mio figlio!"
In questo modo, dico, Abrahamo avrebbe potuto ragionare, e i motivi
per disobbedire all'ordine divino sarebbero potuti sembrare più
che validi. Ma, come in passato pur vedendo che sua moglie non era
più in grado di avere figli, per fede credette in Colui che
aveva promesso: "Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio",
ora egli era persuaso che lo stesso Dio gli avesse parlato e comandato
di offrire quel figlio, e sapendo che Dio era in grado di farlo risuscitare,
obbedì prontamente all'ordine divino.
Oh che gli
increduli imparino dal fedele Abrahamo, e credano a tutto quello che
Dio ha rivelato nella Sua Parola, sebbene non possano comprenderlo
appieno! Abrahamo sapeva che Dio gli aveva comandato di offrire suo
figlio, e dunque credette, nonostante i ragionamenti carnali che potevano
offrirgli scuse e obiezioni. Abbiamo testimonianze sufficienti del
fatto che Dio ha parlato a noi per mezzo del Suo Figlio; perché
dunque non crediamo, sebbene molte cose nel Nuovo Testamento vadano
oltre la comprensione umana? Infatti, dove finisce la ragione, inizia
la fede. E, sebbene i non credenti possano ritenersi dei ragionatori,
di tutti gli uomini sono i meno ragionevoli: non è contrario
a ogni ragione, misurare l'infinito con una comprensione finita, o
pensare di comprendere perfettamente i misteri di Dio?
Ma torniamo
al patriarca Abrahamo: prima abbiamo osservato quali scuse plausibili
potrebbe aver trovato; ma invece non replicò neppure con una
parola: no, senza replicare al Suo Creatore, ci viene detto al verso
3, che "Abrahamo si alzò la mattina di buon'ora, sellò
il suo asino, prese con sé due suoi servi e suo figlio Isacco,
spaccò della legna per l'olocausto, poi partì verso
il luogo che Dio gli aveva indicato".
Da questo
verso possiamo supporre che Dio aveva parlato ad Abrahamo in un sogno
o in una visione, di notte: poiché è detto che "Abrahamo
si alzò la mattina di buon'ora". Forse era circa la quarta
vigilia della notte, proprio prima dello spuntar del giorno, quando
Dio gli rivolse le parole: "Prendi ora tuo figlio"; e Abrahamo
si alzò presto per fare così. E con ogni probabilità
era abituato ad alzarsi presto ogni mattina per offrire un sacrificio
di lode e di ringraziamento. Viene spesso fatto notare della gente
dell'Antico Testamento, che si alzavano presto la mattina; e in particolare,
del nostro Signore nel Nuovo Testamento è detto che si alzava
molto presto, quando era ancora notte, per pregare. Il mattino aiuta
la devozione; e se la gente non riesce a praticare l'abnegazione per
alzarsi la mattina presto per pregare, non so come faranno a sopportare
di morire per Cristo, se fosse necessario.
L'umiltà
e la devozione del patriarca sono ammirevoli: sellò il suo
asino (i grandi uomini dovrebbero essere umili) e per dimostrare la
sua sincerità, prese due dei suoi servi con lui, e suo figlio
Isacco, ma non disse loro nulla di quello che aveva in mente di fare:
no, non ne parlò neppure con sua moglie Sara, poiché
sapeva che sarebbero stati di impedimento in questo affare; e, come
Rebecca consigliò a Giacobbe di fuggire, così Sara avrebbe
potuto persuadere Isacco a nascondersi; o se l'avessero saputo i servi,
avrebbero potuto portarlo via, come nei secoli successivi i soldati
salvarono Gionatan dalle mani di Saul. Ma Abrahamo non dovette affrontare
una situazione simile, e dunque, come un vero Israelita in cui non
c'era astuzia, risolutamente "spaccò della legna per l'olocausto,
poi partì verso il luogo che Dio gli aveva indicato".
Nel secondo verso leggiamo che Dio gli comandò di sacrificare
suo figlio su uno dei monti che Egli stesso gli avrebbe indicato.
Gli comandò di sacrificare suo figlio, ma non gli disse subito
in che luogo, in modo che continuasse a dipendere e a vigilare nella
preghiera. Poiché non c'è niente come restare in attesa
di Dio; e, se lo facciamo, certamente Dio si rivelerà a noi
al tempo dovuto. Pratichiamo ciò che sappiamo, seguiamo la
provvidenza fin dove riusciamo a vedere; e per quello che non sappiamo
e che non riusciamo ancora a vedere, obbediamo facendo il nostro dovere,
e il Signore ci rivelerà anche quello. Abrahamo non sapeva
dove avrebbe dovuto offrire suo figlio; ma si alzò e preparò
ogni cosa, ed ecco che Dio gli si rivelò: "poi partì
verso il luogo che Dio gli aveva indicato". Andiamo e facciamo
lo stesso anche noi.
Verso 4:
"Il terzo giorno Abrahamo alzò gli occhi e vide da lontano
il luogo".
Il luogo che Dio gli aveva indicato era distante non meno di tre giorni
di cammino dal luogo ove Egli gli era apparso prima, quando gli aveva
comandato di portargli suo figlio. Dio non fece forse questo per provare
la sua fede, e per vedere se quello che faceva, lo faceva solo per
devozione, o per una libera scelta? Chi può dire come si sentiva
il vecchio patriarca durante quei tre giorni? Sebbene forte nella
fede, sono persuaso che il suo cuore si commuoveva frequentemente
per il suo caro figlio Isacco. Mi sembra di vedere quel buon vecchio
uomo che cammina tenendo per mano il suo caro figlio, e di tanto in
tanto lo guarda, con affetto, e poi si volta per versare lacrime di
dolore. E forse, a volte rimane un po' indietro per spandere il proprio
cuore davanti a Dio, poiché non ha nessuno con cui potersi
confidare in questa situazione. Mi sembra anche di vederlo ancora,
insieme a suo figlio e ai suoi servi, parlare con loro delle cose
del regno di Dio, mentre percorrono la strada. Finalmente, "il
terzo giorno Abrahamo alzò gli occhi e vide da lontano il luogo".
E, per dimostrare che era sinceramente risoluto a fare qualunque cosa
che il Signore gli avesse chiesto, anche ora non disse ai suoi servi
nulla di quello che doveva compiere, ma (verso 5) "disse ai suoi
servi" (come noi dovremmo dire ai nostri pensieri carnali quando
stiamo per entrare nei cortili della casa del Signore) "Rimanete
qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin là e adoreremo;
poi ritorneremo da voi". Questo era un motivo sufficiente perché
i servi restassero indietro; ed essendo un'abitudine frequente del
loro signore quella di adorare, non sospettarono nulla di quello che
stava accadendo. E poiché Abrahamo disse loro che sia lui che
il ragazzo sarebbero ritornati, penso che Abrahamo credesse che seppure
Dio gli avesse chiesto di sacrificare suo figlio, lo avrebbe poi risuscitato
dai morti. Comunque sia, egli è ora risoluto ad obbedire a
Dio fino in fondo. E dunque, verso 6:
"Così
Abrahamo prese la legna per l'olocausto e la caricò su Isacco
suo figlio; poi prese in mano sua il fuoco e il coltello e s'incamminarono
tutt'e due insieme". Isacco ignorava che sarebbe dovuto essere
sacrificato sulla legna che portava sulle sue stesse spalle; e dunque,
innocentemente, e con una santa libertà (poiché gli
uomini pii non dovrebbero tenere i propri figli a distanza) "parlò
a suo padre Abrahamo e disse: 'Padre mio!'". E Abrahamo, con
il medesimo affetto e comprensione, " rispose: 'Eccomi, figlio
mio'" (verso 7). Abrahamo, come tutti i genitori Cristiani dovrebbero
fare, aveva evidentemente insegnato con diligenza al suo Isacco il
modo di offrire un sacrificio a Dio, istruendolo nella via che doveva
seguire; leggiamo infatti che "Isacco disse: 'Ecco il fuoco e
la legna; ma dov'è l'agnello per l'olocausto?'". Quanto
è meravigliosa la devozione nei giovani! Quanto amabile, sentirli
chiedere in che modo possono offrire a Dio un sacrificio in modo accettevole!
Isacco sapeva molto bene che non avevano portato con loro un agnello,
e che un agnello era necessario per il sacrificio: "Ecco il fuoco
e la legna; ma dov'è l'agnello per l'olocausto?". Giovani
uomini e donne, imparate da lui.
Finora, è
chiaro, Isacco non sapeva nulla delle intenzioni di suo padre: ma
credo, dal modo in cui Abrahamo rispose alla sua domanda, che fosse
ora tempo di rivelargliele.
Verso 8: "Abrahamo rispose: 'Figlio mio, Dio provvederà
egli stesso l'agnello per l'olocausto'". Alcuni pensano che Abrahamo
vide per fede il sacrificio compiuto molti secoli dopo dal Signore
Gesù, e parlò qui profeticamente dell'Agnello di Dio
già predestinato ad essere ucciso ed offerto per i peccatori.
Era necessario l'Agnello fornito da Dio per soddisfare la Sua giustizia
(non avremmo osato pensarlo di nostra iniziativa), e perché
fosse giusto nel giustificare i peccatori. Cos'è tutto il nostro
fuoco e la nostra legna, i migliori preparativi e cerimonie che siamo
in grado di fare, se Dio non ha fornito Egli stesso l'Agnello per
l'olocausto? Egli non poteva abbandonarli; troveremo conferma di questa
interpretazione in queste parole.
Ma, qualunque cosa intendesse Abrahamo, credo che a questo punto si
rivolse al figlio e lo mise al corrente della decisione di Dio; e
alla fine, con gli occhi pieni di lacrime e con sommo affetto nel
cuore, debba aver gridato: "Dovrai essere tu l'agnello, figlio
mio. Dio mi ha comandato di portarti qui e di offrirti in olocausto
su questo monte che stiamo risalendo". E, come appare dal verso
seguente, Isacco, persuaso che quello fosse il volere divino, non
fece alcuna resistenza; poiché è scritto: "proseguirono
tutt'e due insieme". E inoltre, quando ci viene detto che Abrahamo
legò Isacco, non ci viene detto che questi gridò o si
lamentò, né che cercò di scappare, come avrebbe
potuto fare, essendo, secondo alcuni, prossimo ai trent'anni di età
e, da quanto leggiamo, in grado di portare abbastanza legna per un
olocausto. Ma egli condivideva la stessa preziosa fede che aveva il
suo vecchio padre, e quindi era disposto ad essere offerto, come Abrahamo
era disposto ad offrirlo: e così "proseguirono tutt'e
due insieme".
Verso 9:
finalmente "giunsero al luogo che Dio gli aveva indicato, e là
Abrahamo edificò l'altare e vi accomodò la legna; poi
legò Isacco suo figlio e lo depose sull'altare sopra la legna".
E qui facciamo una breve pausa, e per fede guardiamo al luogo dove
quel padre depose il figlio. Non dubito che gli angeli benedetti fossero
intorno all'altare cantando: "gloria a Dio nell'alto dei cieli",
per aver dato una tale fede all'uomo. Venite, tutti voi genitori che
avete un cuore amorevole, che sapete cosa significhi vegliare su un
figlio morente: immaginate di vedere l'altare eretto davanti a voi,
la legna disposta ordinatamente, e l'amato Isacco legato e deposto
su di essa: immaginate di guardare il vecchio padre lì fermo
a piangere (come non potremmo supporre che Abrahamo abbia pianto,
se lo stesso Gesù pianse alla tomba di Lazzaro?). Oh quali
sguardi pii e teneri devono essersi alternati tra il padre e il figlio!
Giuseppe narra di un commovente discorso tra i due, sulla cui genuinità
però non ho certezze: ma mi sembra di vedere le lacrime rigare
le guance del patriarca Abrahamo, e dall'abbondanza del cuore, sentirlo
gridare: "Addio, addio, figlio mio; il Signore ti ha donato a
me, e il Signore ti richiama a sé; sia benedetto il nome del
Signore: addio, mio Isacco, mio unico figlio, che amo come l'anima
mia; addio, addio". Allo stesso tempo immagino Isacco rassegnarsi
con mansuetudine nelle mani del suo Padre celeste, e pregare che l'Altissimo
dia la forza al suo genitore terreno di colpirlo. Ma come posso descrivere
quello che il padre o il figlio hanno provato? È impossibile:
possiamo averne una vaga idea, ma lo non comprenderemo mai appieno
fino a quando siederemo con loro nel regno dei cieli, e li sentiremo
raccontare di nuovo la loro bella storia. Affretta, o Signore, la
venuta di quel tempo benedetto! Oh venga il tuo regno!
E ora, il
colpo fatale sta per essere inferto. "Abrahamo quindi stese la
mano e prese il coltello per uccidere suo figlio" (verso 10).
Ma non pensate che abbia voltato la testa mentre dava il colpo? O
possiamo supporre che qualche volta abbia ritirato la mano subito
dopo averla stesa, per poter dare l'ultimo saluto al suo amato Isacco
e, sebbene risoluto a compiere quello che gli era richiesto, desideroso
di ritardare quell'atto? Ad ogni modo, il suo braccio è ora
steso, il coltello in pugno, e sta per metterlo sul collo del suo
caro figlio.
Ma cantate,
o cieli! E rallegrati, o terra! Ciò che per gli uomini è
un pericolo per Dio è un'opportunità: poiché
ecco, non appena il coltello, con tutta probabilità, era vicino
alla sua gola, verso 11: "Ma l'Angelo dell'Eterno" (o piuttosto,
il Signore degli angeli, Gesù Cristo, l'Angelo del patto eterno)
"lo chiamò dal cielo e disse: 'Abrahamo, Abrahamo!'"
(il nome viene ripetuto, per attirare la sua attenzione; e forse l'improvvisa
chiamata gli fece ritirare la mano, proprio mentre stava per colpire
suo figlio). "Egli rispose: 'Eccomi'".
"L'Angelo
disse: Non stendere la tua mano contro il ragazzo e non gli fare alcun
male; ora infatti so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato
tuo figlio, l'unico tuo figliuolo" (verso 12).
Qui abbiamo una simbologia in cui Abrahamo riebbe suo figlio Isacco
dai morti. Il giovane era effettivamente sull'altare, e Dio lo vedeva
come già offerto e dato a Lui. È ora che la fede di
Abrahamo, essendo stata provata, è trovata più preziosa
dell'oro purificato sette volte nel fuoco. Ora come ricompensa, per
grazia e per debito, per questo atto di obbedienza, con giuramento
Dio dà e conferma la promessa che tutte le nazioni della terra
sarebbero state benedette nella sua discendenza (versi 17-18). Con
quale conforto possiamo immaginare che il vecchio uomo e suo figlio
scesero dal monte e tornarono dai servi! Con quale gioia possiamo
immaginare che tornò a casa, e raccontò ogni cosa a
Sara! E, oltre a tutto questo, con quale trionfo sta ora esultando
nel paradiso di Dio, e adora quel ricco, gratuito, speciale, eterno
amore che lo ha eletto e lo ha distinto dal resto dell'umanità,
rendendolo degno del titolo che durerà fino a quando dureranno
il sole e la luna: "il padre dei fedeli"!
Ma allontaniamo
ora i nostri occhi dalla creatura, e volgiamoli a Colui verso il quale
Abrahamo, se fosse presente, li volgerebbe: intendo, fissiamo gli
occhi sul Creatore, Dio benedetto per sempre.
Vedo la commozione nei vostri cuori, e le lacrime dei vostri occhi.
(E infatti, chi può riuscire a trattenere le lacrime dopo aver
udito una storia come questa?) Ma, ecco, vi mostro un mistero, nascosto
nel sacrificio dell'unico figlio di Abrahamo, che, a meno che i vostri
cuori non siano induriti, dovrebbe farvi versare lacrime di amore,
e in abbondanza. Vorrei che voi mi anticipaste qui, e che foste pronti
a dire: "è l'amore di Dio, che ha dato Gesù Cristo
per morire per i nostri peccati". Si; è questo. Eppure
forse i vostri cuori, all'udire ciò, non sono davvero toccati.
Lasciate allora che vi convinca questo: che siamo tutti creature cadute,
e che non amiamo Dio o Cristo come dovremmo; poiché, se ammirate
l'offerta di Abrahamo di suo figlio Isacco, quanto più dovreste
esaltare, magnificare e adorare l'amore di Dio, che ha così
tanto amato il mondo, che ha dato il Suo unico Figlio Gesù
Cristo il Signore, "affinché chiunque crede in Lui non
perisca, ma abbia vita eterna" (Giovanni 3:16) ? Possiamo dunque
ben gridare: ora sappiamo, o Signore, che Tu ci hai amati, perché
non ci hai rifiutato Tuo Figlio, il Tuo unico Figlio! Abrahamo era
una creatura di Dio (e Dio era amico di Abrahamo), e quindi in obbligo
severissimo di dare il suo Isacco. Ma, oh stupendo amore! Mentre eravamo
Suoi nemici, Dio ha mandato il Suo Figlio, nato da una donna, sottoposto
alla legge, e diventato maledizione per noi. Oh la libertà
e l'infinità dell'amore di Dio nostro Padre! È insondabile:
mi perdo nel contemplarlo; è oltre ogni comprensione. Pensate,
o credenti, pensate all'amore di Dio, nel dare Gesù Cristo
per essere una propiziazione per i nostri peccati. E quando ascoltate
il modo in cui Abrahamo costruì l'altare, sistemò la
legna, e legò Isacco suo figlio, e lo depose sulla legna dell'altare,
pensate a come il vostro Padre celeste ha legato Gesù Cristo
il Suo unico Figlio, e Lo ha offerto sull'altare della Sua giustizia,
e ha deposto su di Lui le iniquità di noi tutti. Quando leggete
di Abrahamo, mentre stende la mano per uccidere suo figlio, pensate,
oh pensate, a come Dio abbia dovuto far patire a Suo Figlio di essere
ucciso, perché noi potessimo vivere per sempre. Avete letto
di Isacco che portava la legna sulle sue spalle, quella stessa legna
sulla quale doveva essere offerto. Lasciate che questo vi conduca
al monte Calvario (che alcuni pensano essere il monte di Moriah sul
quale Isacco fu offerto) e osservate Gesù Cristo, il Figlio
di Dio, portare ed essere sul punto di cadere sotto il peso di quella
croce, sulla quale fu crocifisso per noi. Ammirate la disposizione
d'animo di Isacco che, pur essendo solo una creatura, era disposto
ad obbedire a Dio nonostante dovesse essere sacrificato? Oh non dimenticate
di ammirare infinitamente di più il caro Signore Gesù,
quel seme promesso, che volontariamente disse: "Ecco, vengo",
sebbene non fosse in alcun modo obbligato a farlo, "per fare,
o Dio, la Tua volontà" (Ebrei 10:7), per obbedire e morire
per gli uomini. Avete pianto ora, quando vi ho detto di immaginare
l'altare, la legna, e Isacco deposto sull'altare? Guardate per fede,
contemplate il benedetto Gesù, il nostro glorioso Emmanuele,
non legato, ma inchiodato sul legno maledetto: vedetelo appeso, coronato
di spine, e deriso da tutti quelli che lo circondano: vedete come
le spine forano la Sua carne, e come il sangue come rivoli purpurei
gocciola dalle Sue sacre tempie!
Ascoltate
come l'Iddio della natura soffre! Guardate come abbassa il capo, e
alla fine il Suo spirito abbandona il corpo! Isacco viene salvato,
ma Gesù, l'Iddio di Isacco, muore; un montone fu offerto invece
di Isacco, ma non c'è nessun sostituto per Gesù; Gesù
deve sanguinare, Gesù deve morire. Dio il Padre provvide Egli
stesso quest'Agnello prima di tutti i secoli. Egli deve essere offerto
al tempo opportuno, o gli uomini saranno dannati per l'eternità.
E ora, dove sono le vostre lacrime? Dirò forse: trattenete
la vostra voce dal piangere? No; anzi, lasciate che vi esorti a guardare
a Colui che avete lacerato, e fate cordoglio, come una donna soffre
per il suo primo nato: poiché siamo stati i traditori, siamo
stati gli assassini di questo Signore di gloria; e non gemeremo per
quei peccati che hanno portato il benedetto Gesù sul legno
maledetto? Avendo fatto così tanto, avendo così sofferto
per noi, così tanto perdonato, non ameremo noi molto? Oh! AmiamoLo
con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente e forza, e glorifichiamoLo
nelle nostre anime e nei nostri corpi, poiché gli appartengono.
Torniamo
ora al nostro discorso. Da qui possiamo apprendere la natura della
vera fede che giustifica. Chiunque comprende e predica la verità,
così com'è in Gesù, deve riconoscere che la salvezza
è il dono gratuito di Dio, e che noi siamo salvati non per
le buone opere che abbiamo fatto o che possiamo fare: no; non possiamo
giustificarci né interamente né in minima parte agli
occhi di Dio. Il Signore Gesù Cristo è la nostra giustizia
(cfr. Filippesi 3:9); e se siamo accettati presso Dio, dev'essere
solo per mezzo e attraverso la giustizia personale e l'obbedienza
attiva e passiva, di Gesù Cristo il Suo amato Figlio. Questa
giustizia dev'esserci imputata, cioè accreditata, e applicata
mediante la fede ai nostri cuori, altrimenti non possiamo in alcun
modo essere giustificati agli occhi di Dio: e nel momento stesso che
al peccatore viene concessa la giustizia di Cristo per fede, egli
è giustificato gratuitamente di tutti i suoi peccati, e non
sarà mai condannato, nonostante potesse essere stato prima
di allora un tizzone strappato alle fiamme dell'inferno. Così
Abrahamo fu giustificato prima di poter fare alcuna opera buona: fu
messo in grado di credere in Cristo il Signore; gli fu "imputato
come giustizia" (cfr. Romani 4:3 e segg., Giacomo 2:23); cioè,
fu rivestito della giustizia di Cristo, e fu considerata come sua.
Questo è il Vangelo; questo è l'unico modo per essere
accettati in Dio: le buone opere non hanno nulla a che fare non la
nostra giustificazione ai Suoi occhi. Siamo giustificati solo mediante
la fede, come è scritto anche negli articoli di fede della
nostra chiesa; e in conformità con quello che viene detto dall'apostolo
Paolo: "È per grazia che siete stati salvati, mediante
la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio"
(Efesini 2:8). Comunque, le buone opere hanno il loro posto nella
vita dei credenti: esse giustificano la nostra fede, sebbene non le
nostre persone; le opere seguono la fede, ed evidenziano la nostra
giustificazione agli occhi degli uomini.
Per quale motivo l'apostolo Giacomo chiede: "Abrahamo, nostro
padre, non fu forse giustificato per mezzo delle opere quando offrì
il proprio figlio Isacco sull'altare?" (Giacomo 2:21). Questo
prova che Abrahamo fu giustificato perché la sua fede produsse
buone opere. Questa dichiarazione è più chiara agli
uomini se compresa dalle parole del testo: "ora infatti so che
tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico
tuo figliuolo". Non che Dio non lo sapesse già; ma questo
è detto per comprensione verso le nostre deboli capacità,
e dimostra chiaramente che l'offerta di suo figlio fu accettata da
Dio come evidenza della sincerità della sua fede, e per questo,
fu scritto per testimonianza per le epoche future. Da qui dunque possiamo
comprendere se siamo benedetti con il fedele Abrahamo, e siamo suoi
figli e figlie. Dite di credere: parlate di grazia gratuita e giustificazione
libera: fate bene; anche i demoni credono e tremano. Ma la fede che
pretendete di avere, ha influenzato i vostri cuori, ha rinnovato le
vostre anime, e, come quella di Abrahamo ha operato per amore? Le
vostre affezioni, i vostri desideri, sono volti alle cose di lassù
e, come lui, vi reputate "stranieri e pellegrini" sulla
terra? In breve, la vostra fede vi ha reso capaci di vincere il mondo,
e vi ha fortificati per abbandonare il vostro Isacco, la vostra "risata",
cioè i vostri piaceri, amici, passioni, e profitti, per Dio?
Se è così, siate confortati: poiché giustamente
potete dire: "sappiamo con certezza che temiamo e amiamo Dio,
o meglio, che siamo da Lui amati".
Ma se siete credenti solo a parole, se avete una fede solo intellettuale,
e non ne avete mai sperimentata la potenza nei vostri cuori, sebbene
vi vantiate, dicendo come i farisei di allora: "abbiamo Abrahamo
come padre", o "Cristo è il nostro Salvatore",
a meno che non abbiate la vera fede nel cuore, una fede che opera
per amore, non siederete mai con Abrahamo, Isacco, Giacobbe, o Gesù
Cristo, nel regno dei cieli.
Ma devo dire
ancora un'altra cosa, prima di concludere.
Imparate, o santi, da quello che è stato detto! Imparate a
fare a meno di tutti i vostri agi mondani, e ad essere sobri e pronti
ad abbandonare ogni cosa, quando Dio ve lo chiederà. Alcuni
di voi forse possono avere amici che vi sono cari come la vostra stessa
anima; e altri possono avere figli, nelle cui vite riponete le vostre;
tutti, credo, hanno il loro Isacco, la loro particolare gioia di un
tipo o dell'altro. Sforzatevi, per Cristo, sforzatevi, voi figli e
figlie di Abrahamo, di sacrificare ogni giorno le vostre passioni
e affezioni a Dio, affinché quando vi chiederà di abbandonarli
non conferiate con carne e sangue, non più del benedetto patriarca
ora avanti a noi. E a voi che siete stati in qualche modo provati
come lui, dico: siate incoraggiati e confortati da questo esempio.
Ricordate, Abrahamo vostro padre è stato così tentato
prima di voi: pensate, oh pensate alla felicità di cui ora
gode, e come ringrazia incessantemente Dio per averlo messo alla prova
quando era giù in terra. Guardate spesso con gli occhi della
fede, e osservatelo mentre siede con il suo amato Isacco nel regno
dello spirito. Ricordate, ancora un po' di tempo, e anche voi siederete
con loro, e vi racconterete l'un l'altro quel che ha fatto Dio per
le anime vostre. Lì spero di sedere con voi, e di udire dalla
sua bocca questa storia della sua offerta di suo figlio, e ringraziare
l'Agnello che siede sul trono, per quello che ha fatto per le anime
di tutti noi, per l'eternità.
indietro
| indice