Le
indulgenze della chiesa cattolica
alla
luce della Bibbia e della storia
a
cura di V. Marchi
Introduzione
Papa Giovanni Paolo
II ha definito le indulgenze "una comprensiva tessera di autentica cattolicità"
(1). In quanto "elemento costitutivo" e
fonte, nel corso della storia, di grandi discussioni e polemiche (basti pensare
alle 95 tesi di Lutero e allo scoppio della Riforma protestante, che ebbe come
causa scatenante proprio lo scandaloso commercio delle indulgenze favorito dalla
Chiesa di Roma), è necessario parlarne prima di dare uno sguardo complessivo
sul Giubileo cattolico.
Per comprendere bene le indulgenze, bisogna partire dal "sacramento" cattolico
cui esse sono strettamente collegate: quello della "penitenza" o "riconciliazione".
È vero che lo scopo basilare del Vangelo è senz'altro quello della
riconciliazione dell'uomo con Dio, attraverso il perdono dei peccati e il dono
della salvezza eterna. Il cattolicesimo, però, ha molto cambiato e "personalizzato"
il cammino di salvezza, creandone uno proprio, parallelo e affatto particolare,
mediante l'introduzione di una serie di elementi sconosciuti alla semplicità
del messaggio di Cristo.
Diamo allora un'occhiata
alla dottrina cattolica, riassumendo quanto si ricava da alcune fonti cattoliche
ufficiali (la Bolla Incarnationis mysterium del 1998; il Catechismo
della Chiesa Cattolica del 1993; il Catechismo degli adulti del 1995;
il Codice di diritto canonico; il Sussidio Il dono dell'indulgenza,
a cura del Comitato Nazionale per il Grande Giubileo del 2000, edito quest'anno).
La dottrina cattolica sulla riconciliazione
Nella schematizzazione
inseriremo, punto per punto, brevi osservazioni sull'incoerenza di tali insegnamenti
rispetto al Vangelo.
- La
chiesa cattolica insegna che per i peccati commessi dopo il battesimo è
previsto il sacramento della Riconciliazione, in base al quale, per ottenere l'assoluzione,
il fedele deve passare attraverso gli atti di: pentimento, confessione al sacerdote
cattolico (l'unico in grado di perdonare in nome di Cristo), e penitenze (consistenti
in preghiere, opere di carità, rinunce, pellegrinaggi, ecc).
Ma, innanzi tutto, è risaputo che il Nuovo Testamento ignora completamente
la distinzione clero/laici all'interno del popolo cristiano. Ugualmente, ignora
l'idea di riconciliazione come "sacramento" e quella della confessione dei peccati
rivolta ad una categoria speciale di persone che abbiano il potere di amministrare
il perdono per conto di Dio.
Aberrante è poi la concezione secondo cui preghiere, perdoni, opere caritatevoli
e altri atti di pietà - che per il Vangelo sono gioiose e spontanee manifestazioni
d'amore - possano essere concepiti come "penitenze", ossia, in pratica, castighi
e pene, seppur in vista di una purificazione spirituale!
- Secondo
la chiesa cattolica, l'assoluzione riconcilia il penitente con Dio e con la chiesa,
estinguendo: la colpa; la pena eterna meritata a causa dei peccati
mortali; infine, solo in parte, le pene temporali che seguono ad ogni peccato,
anche veniale.
Pare davvero singolare,
però, che l'assoluzione di un prete abbia il potere di liberare dalla pena
eterna, ma non del tutto dalle pene temporali, le quali, rispetto alla prima,
sono infinitamente inferiori.
Inoltre, la distinzione
fra peccati "mortali" e "veniali" è arbitraria, non è presente nel
Vangelo.
- Secondo
la chiesa cattolica, per pene temporali si intendono quelle che hanno una
durata limitata e che sono conseguenze del peccato, conseguenze che restano
anche dopo il perdono della colpa. Finché queste pene non vengono del tutto
espiate, una piena comunione con Dio e coi fratelli non è possibile. La
cancellazione delle pene temporali può avvenire durante la vita del credente
e/o dopo la sua morte in purgatorio (poiché coloro che muoiono non essendo
ancora perfettamente purificati vanno in purgatorio). Su questo punto s'innestano
le indulgenze.
Prima di parlarne, però, notiamo che non esiste, nel Nuovo Testamento,
la dottrina di una pena "temporale" da scontare prima di essere riammessi alla
comunione divina ed ecclesiale.
Ancor meno rintracciabile è l'idea di pene da scontare dopo la morte fisica
da parte di persone sostanzialmente salvate (poiché - sempre secondo il
cattolicesimo - tutti gli abitanti del purgatorio giungono, prima o poi, al paradiso).
Il Vangelo, d'altronde, non parla mai del purgatorio,
ma sempre e solo o di pena eterna o di salvezza eterna, senza mai indicare una
"terza via" (in particolare, si leggano i passi di Matteo 25:46 e Luca 16:19 ss.)
(2).
Come non restare allibiti, infine, davanti al concetto di persone considerate
salvate, ma che devono ancora scontare enormi sofferenze (il cattolicesimo insegna
infatti che quelle del Purgatorio sono ben superiori alle terrene!) dopo questa
vita, prima di giungere a Dio?
- Vediamo
allora in cosa consistono le indulgenze cattoliche, che si acquistano adempiendo
determinate opere di pietà (più o meno consistenti, secondo la gravità
del peccato commesso) e possono essere plenarie, quando cancellano tutte
le pene dovute per i peccati compiuti fino a quando se ne beneficia (in modo che
condurrebbero direttamente al cielo l'anima che in quel momento fosse separata
dal corpo), oppure parziali, quando rimettono solo una parte di pene. Anche
per coloro che sono già trapassati e si trovano in Purgatorio, la chiesa
cattolica romana dispensa liberazioni anticipate dalle pene cui sono sottoposti,
attingendo al "tesoro" spirituale di coloro che, in vita, hanno acquisito meriti
"sovrabbondanti", ossia hanno fatto del bene più di quanto servisse per
la loro personale salvezza: si tratta di Cristo e poi di Maria e di tutti i "santi"
cattolici, ai cui meriti i fedeli in vita possono attingere mediante suffragi
a pro dei defunti (3). Ciò che la
singola persona non riesce a fare viene colmato, in pratica, dai meriti "in più"
di altri, sotto il controllo della gerarchia ecclesiastica (solo il papa e altri
alti esponenti della chiesa romana possono dispensare le indulgenze).
Certo, le Sacre Scritture insegnano che l'uomo non può salvarsi da sé,
e per questo Gesù stesso si è sacrificato al suo posto, donandogli
i suoi incommensurabili meriti: è per questo che Gesù è venuto
fra noi, è morto, risorto e asceso al cielo, per essere l'unico mediatore
fra Dio e gli uomini e il nostro avvocato difensore (si leggano, fra i
tanti, passi come Giovanni 3:16-18; Efesini 2:4-10; Colossesi 1:8-23; 1 Timoteo
2:3-6; Ebrei 7:26-28, 10:16-18; 1 Giovanni 2:1-2).
Come si legge nel capitolo 9 dell'epistola agli Ebrei, Gesù Cristo ha pagato
una volta per sempre il prezzo del peccato, per coloro che credono in Lui. Se
si deve ricorrere anche ad altri oltre che a Cristo, significa che per i cattolici
l'opera del Messia da sola non è sufficiente e necessaria: e ciò
è l'antitesi più netta che vi possa essere col Vangelo!
Inoltre, come farebbe la chiesa cattolica a disporre di questo patrimonio? Dove
si trova nel Vangelo una sia pur minima indicazione in tal senso (4)?
Dove mai un accenno alla possibilità, per i vivi, di influire beneficamente
sulla sorte dei trapassati, col fine di farli giungere più speditamente
al Paradiso (5)? E che ne sarà di
quei poveracci che non hanno nessuno che offra un "suffragio" (espressione che
significa "aiuto": offerte, riti eucaristici, preghiere, ecc.) in loro favore?
Chi ha più amici viene favorito?
Ancora, altra antitesi totale col Vangelo: come è possibile che un merito
di una persona passi ad un'altra persona? La Parola di Dio parla sempre e solo
di responsabilità personale (si leggano ad esempio: Salmo 49:7, 62:12;
Ezechiele 18:30, 33:20; Matteo 16:27, 25:31 ss.; Atti 10:34; Romani 14:10; 2 Corinzi
5:10; Apocalisse 2:23, 20:12).
Come è concepibile, poi, che semplici uomini (non Gesù Cristo) abbiano
acquisito con le loro opere meriti talmente grandi, da salvarsi e poter salvare
anche altri, quando la Scrittura insegna che nessuno riuscirà mai a fare
abbastanza neppure per se stesso, e che possiamo essere salvati, dunque, solo
per la grazia di Cristo, che colma i buchi lasciati da ogni uomo, senza
eccezione? (vedi, ad esempio: Matteo 19:17; Romani 3:23-24; 1 Corinzi 1:30; Efesini
2:9; 2 Timoteo 1:9; Tito 3:5) (6).
Senza parlare, poi, del fatto che già il giudizio ecclesiastico sui cosiddetti
"santi" (una categoria che, intesa alla maniera cattolica, non compare nel Vangelo)
è assurdo, perché presuppone di sapere che alcune persone sono già
salvate, e in tal modo (al pari di quando si giudica che qualcuno sia in Purgatorio)
ci si sostituisce al giudizio di Dio (7).
Altri cenni storici e altre riflessioni
Al Concilio di Clermont
del 1095 d.C., bandendo la prima crociata, papa Urbano II scrisse un appello al
popolo; in esso, fra le altre cose, si diceva:
"Insistentemente
vi esorto, anzi non sono io a farlo ma il Signore, affinché voi persuadiate
con continui incitamenti, come araldi di Cristo, tutti, di qualunque ordine (cavalieri
e fanti, ricchi e poveri), affinché accorrano subito in aiuto ai cristiani
per spazzare dalle nostre terre quella stirpe malvagia [i Turchi]. Lo dico ai
presenti e lo comando agli assenti, ma è Dio che lo vuole. Per coloro poi
che incontreranno la morte in viaggio o durante la traversata o in battaglia contro
gli infedeli, vi sarà l'immediata remissione dei peccati: e ciò
io accordo a quanti partiranno, per l'autorità che Dio mi conferisce."
Fu la prima grande
indulgenza plenaria. In seguito fu anche concesso, a chi non voleva o non poteva
partire per la Terrasanta, di lucrare (8)
l'indulgenza tramite una somma di denaro. Lo storico L. Gatto annota: "Per chi
fosse andato a Gerusalemme per devozione e con lo scopo di liberare la Chiesa
di Dio, il viaggio avrebbe avuto dunque valore di penitenza, e da ogni parte si
cominciò allora a ripetere, sulla scorta di quanto affermato dal Pontefice,
"Dio lo vuole!"" (9). Stragi e
violenze di inaudita portata furono così giustificate, fomentate e "santificate"
dalle supreme autorità cattoliche, in nome della loro presunta autorità
divina, promettendo agli autori degli efferati massacri la liberazione da ogni
pena presente e futura, e quindi l'ingresso diretto in Paradiso.
Ma ora, domandiamoci:
com'è possibile che molti papi, nei secoli passati, esprimendosi in modo
ufficiale e solenne, abbiano spinto verso omicidi e altri misfatti i fedeli, promettendo
loro salvezza eterna, mentre oggi il papa non approva più quegli stessi
atti, giudicandoli non conformi al Vangelo? Le tantissime persone che in quel
tempo hanno seguito la chiesa cattolica romana, allora, si sono salvate compiendo
efferatezze in nome di Dio, oppure sono dannate e devono la loro dannazione ai
cattivi consigli dei papi? In entrambi i casi, la situazione pare davvero drammatica
e insostenibile, e mina alla base la pretesa autorità della gerarchia cattolico-romana
(10) di ieri e di oggi. E' mai possibile
che ciò che Dio "voleva" secoli fa sia così diverso da ciò
che egli "vuole" oggi? Dio vuole o non vuole le crociate? Vuole o non vuole le
indulgenze? Vuole o non vuole il Giubileo? Chi ci garantisce che la chiesa cattolica
in futuro non cambi idea su punti oggi ritenuti assodati, così come recentemente
ha cambiato parere su questioni che una volta venivano fatte passare per certezze
divine?
D'altronde, la chiesa
romana stessa ammette che dottrine come quella delle indulgenze non esistevano
nel primo cristianesimo e che hanno avuto lente ma fondamentali evoluzioni
e modificazioni nel corso dei secoli, specificandosi tanto più quanto maggiormente
ci si allontanava dal Vangelo (11). Così,
l'idea del "tesoro della chiesa cattolica" (definito da un autore cattolico "una
specie di immenso conto in banca" da utilizzare in caso di necessità (12))
non s'affermò fino al XII secolo d.C.! Dopo la caduta di S. Giovanni d'Acri
(1291) e la fine delle crociate, l'indulgenza plenaria trovò la sua piena
collocazione nel Giubileo (13) (il primo,
come vedremo, è del 1300: anche qui siamo molto distanti dalla rivelazione
evangelica).
Dobbiamo anche notare che, specialmente in passato, la chiesa cattolica romana
ha largamente diffuso e sfruttato i più biechi abusi delle indulgenze (quando
si pagava una specie di onerosa "tassa", secondo vere e proprie tariffe ufficiali,
per ottenere il perdono dei peccati senza bisogno d'altro) e s'è arricchita
giungendo a costruire con gli introiti che ne derivavano (un'importantissima voce
d'entrata delle finanze pontificie!) quegli stessi "luoghi sacri" nei quali oggi
si fanno andare in pellegrinaggio i fedeli per acquistare, ancora, indulgenze
(la stessa basilica di San Pietro fu terminata grazie agli incassi derivati dalla
vergognosa vendita di indulgenze del secolo XVI). Altro che "pentimenti": se ci
fosse vero pentimento per gli scandali del passato, si procederebbe ad una genuina
pratica penitenziale, la quale non potrebbe essere altro che la vendita degli
immobili acquisiti in modo anti-cristiano, al fine di donare tutto ai poveri.
Nel 1967 Paolo VI (nella Indulgentiarum doctrina) affermò che "la
dottrina e l'uso delle indulgenze, da molti secoli in vigore nella chiesa cattolica,
hanno un solido fondamento nella divina rivelazione". Ma dove sono le prove bibliche?
Il Sussidio Il dono dell'indulgenza, a pag. 11, afferma che "l'indulgenza
non è […] di origine divina, bensì di origine ecclesiastica. Essa,
infatti, è scaturita da un'antica pratica penitenziale…" (e, infatti, a
pag. 16 si aggiunge che "il primo documento ufficiale sistematico del magistero
pontificio sulla dottrina delle indulgenze […] è legato all'occasione della
proclamazione del Giubileo del 1350").
La chiesa di Roma continua ad arrogarsi il diritto di fare e disfare
in barba al Vangelo, che, invece, sostiene di essere una rivelazione perfettamente
completa e che ha messo bene in guardia dal portare il sia pur minimo cambiamento
alla dottrina di Gesù e degli Apostoli (vedi, ad esempio: Giovanni 16:13;
Galati 1:6-9; 2 Pietro 1:3; Giuda v. 3; Apocalisse 22:18-19). Vangelo o tradizioni
cattoliche? Cristianesimo o cattolicesimo?
NOTE
1. Giovanni
Paolo II, Ai penitenziari delle quattro basiliche patriarcali di Roma,
30 gennaio 1981. Ricordiamo che indulgenza deriva da "indulgere", ossia
"dimostrarsi benevoli; elargire un dono o un perdono". L'attuale posizione della
chiesa cattolica romana sul tema è contenuta nella costituzione Indulgentiarum
doctrina di Paolo VI (1967) ed è sinteticamente espressa dai documenti
indicati alla fine del presente paragrafo.
La definizione papale di indulgenza si trova nel Diritto Canonico, ai canoni
992-997. In particolare: "L'indulgenza è la remissione della pena
temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele,
debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della
Chiesa [Cattolica], la quale, come ministra della redenzione, dispensa ed applica
autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi"
(can. 992).
Secondo il catechismo cattolico, "Mediante le indulgenze i fedeli possono
ottenere per se stessi, e anche per le anime del Purgatorio, la remissione delle
pene temporali, conseguenze dei peccati" (1498; si vedano anche 1475-1479).
2. Lo
stesso Catechismo della Chiesa Cattolica ammette che la dottrina sul
Purgatorio è stata definita solo nei Concili
di Firenze (secolo XV) e di Trento (secolo XVI); coerentemente, nessun Dizionario
biblico riporta la voce Purgatorio o altre corrispondenti. Come ha scritto lo
storico J. Le Goff in La nascita del Purgatorio: "Sino alla fine del secolo
XII la parola purgatorium non esiste come sostantivo. Il Purgatorio non
esiste"; e ancora: "Per la storia del Purgatorio, il miglior teologo è
Dante"; e non la Bibbia, aggiungiamo noi! Eppure, secondo il Concilio di Trento
(tuttora in vigore per questi come per molti altri aspetti), chi nega il Purgatorio
e il valore delle indulgenze va scomunicato!
3. I
suffragi per i defunti si affermarono successivamente alle indulgenze per i vivi.
La prima indulgenza per i morti fu concessa nel 1476 dal pontefice Sisto IV, anche
se ciò era già stato fatto alcune volte, ma non da parte del papa.
4. Sempre
Le Goff, d'altronde (cfr. nota 2), ha notato, a proposito del Purgatorio e delle
indulgenze: "E per la chiesa [cattolica], quale strumento di potere! Essa afferma
il proprio diritto (parziale) sulle anime del Purgatorio in quanto membri della
chiesa militante, spingendo avanti il foro ecclesiastico a detrimento del
foro di Dio, che tuttavia detiene la giustizia dell'aldilà. Potere
spirituale, ma anche semplicemente […] profitto finanziario".
5. Le
autorità cattoliche citano a questo proposito un solo passo biblico, tratto
dal secondo libro dei Maccabei, cap. 12, versetti 32-45. Ma ci sono due grandi
ma: prima di tutto, tale libro, ufficialmente inserito (assieme ad altri
libri) nell'Antico Testamento dal Concilio di Trento nel 1546, non ha mai fatto
parte della Bibbia ebraica (e, difatti, né ebrei, né protestanti,
né ortodossi lo riconoscono come ispirato da Dio; basti leggere, d'altronde,
il finale di 2 Maccabei 15:37-39…); inoltre, se è vero che le persone protagoniste
di quel contesto volevano fare un sacrificio a pro dei propri compagni defunti,
è anche vero che tale pratica non è mai stata approvata né
dagli ebrei né dai primi cristiani, e che i trapassati in questione, essendosi
resi colpevoli di aver trafugato idoli pagani, secondo la dottrina cattolica sono
morti in peccato mortale, e dunque devono trovarsi all'Inferno. Quindi, se questi
passi provano qualcosa, provano che si può pregare per le persone che sono
all'Inferno, e non per quelle in Purgatorio. Naturalmente, anche ciò è sbagliato.
6. Sia
chiaro che non vogliamo sminuire il valore dell'agire, dell'operare da parte del
cristiano (senza opere la fede è un involucro vuoto: Giacomo 2:26), ma
solo far presente che, secondo il Vangelo, nessuno può operare al
punto da conquistare la salvezza per sé e - tanto meno - per altri: tutti
gli uomini muoiono in difetto davanti a Dio; la differenza è che alcuni
sono in comunione amorevole e ubbidiente col Signore, e vengono dunque graziati
e salvati, e altri no.
7. Basti
pensare al fatto che, ad esempio, secondo l'apostolo Paolo, neppure di una persona
che sacrifica la propria vita per la fede possiamo dire per certo che sarà
salvata, perché a giudizio di Dio potrebbe aver mancato nel proprio intimo
della carità (si legga 1 Corinzi 13:1-3).
8.
Questo è il termine tecnico, usato dal Codice di diritto canonico;
letteralmente, significa "incamerare a titolo di utile"; nel caso specifico, "conseguire
grazie a pratiche devote".
9. Le
crociate, Newton Compton, 1994, pag. 18.
10.
Ricordiamo, infatti, che i papi si ritengono infallibili ex cathedra, ossia
assistiti divinamente e dunque senza possibilità di errore quando definiscono
dottrine relative al magistero (fede, costumi ecclesiastici, morale civile, canonizzazione
dei santi, ecc).
11.
Si veda ad esempio il Catechismo della Chiesa Cattolica, n° 1447: "Nel
corso dei secoli la forma concreta, secondo la quale la Chiesa [Cattolica] ha
esercitato questo potere ricevuto dal Signore, ha subito molte variazioni….";
si ammette poi che solo dal secolo VII si intravedono le prime forme di quella
che diverrà gradualmente l'attuale dottrina della penitenza. Riferendosi
al secolo XIII, A. Gelardi, autore di Verso il giubileo, (EDB, 1996) afferma
a pag. 10 che "da questo momento la pratica delle indulgenze avrebbe avuto uno
sviluppo sino ad allora sconosciuto"; a pag. 18, poi, sottolinea come "originariamente
il termine "indulgenza" indicava il condono della penitenza pubblica imposta dalla
Chiesa [Cattolica] per un certo periodo di tempo".
12.
O. Battaglia, Il Giubileo del 2000, Ed. Porziuncola, 1996, pag. 27.
13.
"Nella sua essenza teologica il Giubileo è dunque una solenne indulgenza
plenaria concessa dal papa (con annesse facoltà speciali per i confessori
a favore dei fedeli che lucrano il Giubileo stesso)" (A. Gelardi, op. cit.,
pag. 17).
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