LA
VERA VITA CRISTIANA
"Non
più io... ma Cristo"
di Watchman Nee
(Capitolo
13 dell'omonimo libro)
IL CAMMINO
DEL PROGRESSO: PORTARE LA CROCE
Varie volte,
nel capitolo precedente, abbiamo toccato l'argomento del servizio
per il Signore. Poiché ora esamineremo la soluzione che Dio
ha dato al problema della vita dell'anima, sarà bene avvicinare
questo problema considerando, prima di tutto, i princìpi che
governano questo processo. Iddio ha fissato leggi spirituali che dirigano
il nostro lavoro per lui, e dalle quali non può deviare nessuno
di coloro che intendono servirlo. La base della nostra salvezza, lo
sappiamo bene, è il fatto della morte e della risurrezione
del Signore, ma le condizioni del nostro servizio non sono meno precise.
Nello stesso modo che il fatto della morte e della risurrezione del
Signore è la base sulla quale noi siamo accetti a Dio, così
anche il principio della morte e della risurrezione è la base
della nostra vita e del nostro servizio per lui.
Se è così, se il Figlio dell'uomo, per compiere la sua
opera, è dovuto passare attraverso la morte e la risurrezione
(come simbolo e come principio), potrebbe essere diverso per noi?
Certamente nessun servitore di Dio potrà servirlo senza conoscere
egli stesso l'azione di questo principio nella sua vita. Questo è
fuori discussione.
Il Signore ha dimostrato ciò ben chiaramente ai suoi discepoli,
prima di lasciarli. Egli era morto e risuscitato, ed ora dice loro
di attendere a Gerusalemme di essere rivestiti di potenza. Che cos'è
questa potenza dello Spirito Santo, questa "potenza dall'alto"
della quale Egli parlava? Non altro che la virtù della sua
morte, della sua risurrezione e della sua ascensione; per adoperare
un'altra figura, lo Spirito Santo è il vaso, dentro il quale
sono depositati tutti i valori della morte, della risurrezione e della
esaltazione del Signore affinché ci possano essere distribuiti.
È lo Spirito che "contiene" questi valori e ne fa
parte agli uomini. È questa la ragione per la quale lo Spirito
Santo non poteva essere dato prima che il Signore fosse stato glorificato.
Allora soltanto poté scendere sugli uomini e sulle donne perché
fossero suoi testimoni; perché senza il valore della morte
e della risurrezione del Cristo, questa testimonianza non è
possibile.
Se guardiamo nell'Antico Testamento, vi troveremo lo stesso principio.
Vorrei ricordarvi un passo bén conosciuto nel diciassettesimo
capitolo dei Numeri. Il ministero d'Aronne era stato contestato. Una
discussione si era sollevata fra il popolo: Aronne era davvero stato
scelto da Dio? Regnava una certa diffidenza al riguardo, e dicevano
infatti: "Noi non sappiamo se quest'uomo è stato veramente
designato da Dio". Iddio volle allora provare chi era suo servitore
e chi non lo era. Come fece? Dodici verghe morte, recanti ciascuna
un nome, furono deposte davanti all'Eterno, nel santuario, di fronte
all'arca della testimonianza, e ci restarono per tutta una notte.
II mattino seguente l'Eterno, indicò il servitore da lui scelto
per mezzo della verga che aveva germogliato, fiorito e portato frutto.
Conosciamo tutti il significato di questa esperienza. La verga di
mandorlo che germoglia parla di risurrezione. Sono la morte e la risurrezione
che provano il ministero che Dio riconosce. Senza questo riconoscimento
noi non abbiamo alcun valore. Il germogliare della verga di Aronne
dimostrò che egli era nella giusta posizione; Dio riconoscerà
come suoi servitori, soltanto quelli che sono giunti alla risurrezione
attraverso la morte.
Abbiamo visto che la morte del Signore agisce in diversi modi. Sappiamo
come ci ha portato a ricevere il perdono dei nostri peccati, e che
senza spargimento di sangue non c'è remissione. Poi, abbiamo
visto come la sua morte agisce per liberarci dal dominio del peccato,
e che il nostro vecchio uomo è stato crocifisso con lui affinché
noi non serviamo più al peccato. In seguito, è stato
sollevato il problema della volontà dell' "io", e
il nostro bisogno di consacrazione ci è divenuto evidente;
abbiamo compreso, allora, che la morte non ha agito in noi per cedere
il posto ad uno spirito disposto ad abbandonare la propria volontà
e ad ubbidire soltanto al Signore. Questo costituisce, in verità,
un punto di partenza per il nostro servizio, ma non tocca ancora il
nocciolo della questione. Può ancora sussistere in noi una
mancanza di conoscenza del significato dell'anima.
Poi un altro passo ci è presentato in Romani 7, dove si esamina
il problema della santità della vita, di una santità
personale e vivente. Noi vi troviamo un vero uomo di Dio che cercando
con la sua giustizia di piacere a Dio, si mette sotto la legge e la
legge gli rivela quello che è. Egli cerca di piacere a Dio
mettendo in opera il suo sforzo umano, e la Croce lo deve guidare
al punto da fargli dire: "Non posso fare questo; non posso soddisfare
Dio con le mie proprie forze; posso soltanto confidare che lo Spirito
Santo lo faccia in me".
Io credo che qualcuno di noi sia passato attraverso acque profonde
prima di imparare questa verità e di scoprire il valore della
morte del Signore che agisce così.
Ma, osservate: c'è ancora una grande differenza fra "la
carne" di cui parla Romani 7 in relazione con la santità
della vita, e l'azione delle energie naturali della vita dell'anima
nel servizio del Signore. Ma quando avremo conosciuto quello di cui
abbiamo parlato attraverso la nostra esperienza, resterà tuttavia
un'altra sfera nella quale dovrà agire la morte del Signore,
perché possiamo essergli utili nel suo servizio. Anche quando
avremo fatto tutte queste esperienze, il Signore non potrà
ancora contare su di noi finché queste altre opere non siano
compiute in noi.
Quanti servitori del Signore sono adoperati da lui, come disse una
espressione cinese, per costruire quattro metri di muro, ma soltanto
perché poi ne distruggono essi stessi cinque metri! Noi siamo
impiegati in un senso, ma, nello stesso tempo, demoliamo il nostro
lavoro, e, qualche volta, anche quello degli altri, perché
c'è ancora in noi qualcosa che non è stato toccato dalla
Croce. Dobbiamo ora vedere come il Signore ha stabilito di agire con
l'anima e poi, più particolarmente, come questo abbia a che
fare col nostro servizio per lui.
L'OPERA SOGGETTIVA
DELLA CROCE
Consideriamo quattro passi degli Evangeli. Essi sono: "Non pensate
ch'io sia venuto a metter pace sulla terra; non son venuto a metter
pace, ma spada. Perché son venuto a dividere il figlio dal
padre e la figlia dalla madre, e la nuora dalla suocera, e i nemici
dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua. Chi ama padre o madre
più di me non è degno di me; e chi ama figliuolo o figliuola
più di me, non è degno di me; e chi non prende la sua
croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi avrà
trovato la sua vita, la perderà, e chi avrà perduto
la sua vita per cagione di me, la troverà" (Matteo 10:34-39).
"E diceva queste cose apertamente. E Pietro, trattolo da parte,
prese a rimproverarlo, ma Egli rivoltosi e guardati i suoi discepoli,
rimproverò Pietro dicendo: Vattene via da me, Satana! Tu non
hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini. E chiamata
a sé la folla coi suoi discepoli, disse loro: se uno vuol venire
dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi
segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita la perderà;
ma chi perderà la sua vita per amor di me e del Vangelo la
salverà" (Marco 8:32-35).
"Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare
la sua vita la perderà. Ma chi la perderà la preserverà.
Io ve lo dico: in quella notte due saranno in un letto, l'uno sarà
preso, l'altro lasciato" (Luca 17:32-34).
"In verità, in verità io vi dico che se il granello
di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore produce
molto frutto. Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita
in questo mondo, la conserverà in vita eterna. Se uno mi serve,
mi segua; e là, dove son io, quivi sarà anche il mio
servitore; se uno mi serve, il Padre l'onorerà" (Giovanni
12:24-26).
Questi quattro passi hanno un motivo comune. In ciascuno d'essi, il
Signore parla dell'attività dell'anima umana e in ciascuno
d'essi, mette in evidenza un aspetto od una manifestazione diversa
della vita dell'anima. In questi versetti Egli dichiara molto chiaramente,
che il problema dell'anima dell'uomo può essere risolto in
un modo solo: quello di portare ogni giorno la nostra Croce per seguirlo.
Come abbiamo visto, la vita dell'anima o vita naturale, di cui si
parla, è qualche cosa che va oltre quello che è detto
nei passi che parlano del vecchio uomo o della carne. Abbiamo cercato
di dimostrare chiaramente che, per quanto riguarda il nostro vecchio
uomo, Dio sottolinea quello che Egli ha compiuto, una volta per tutte,
crocifiggendoci col Cristo sulla Croce. Abbiamo visto che tre volte
nell'epistola ai Galati il fatto della crocifissione è ricordato
come una cosa compiuta; ed in Romani 6:6 ci è detto chiaramente
che "il nostro vecchio uomo è stato crocifisso",
ciò che, se il tempo del verbo ha un significato, potrebbe
essere parafrasato in questo modo: "Il nostro vecchio uomo è
stato, definitivamente e per sempre, crocifisso". È un
fatto compiuto che noi dobbiamo apprendere dalla rivelazione divina
ed appropriarci, quindi, per fede.
Ma c'è un altro aspetto della Croce, quello indicato nell'espressione
"portare ogni giorno la croce" che è ora davanti
a noi. Io sono stato messo sulla Croce, ora la debbo portare; e "portare
la croce" è un fatto interiore. Questo intendiamo quando
parliamo dell'opera soggettiva della Croce. È continuo progredire;
è seguire il nostro Signore passo, passo. È il fatto
che ora abbiamo davanti, per ciò che concerne l'anima, e, come
abbiamo detto, l'accento non è più lo stesso di quando
si trattava dell'uomo vecchio. Non ci è parlato qui della "crocifissione
dell'anima stessa", nel senso che i nostri doni e le nostre facoltà
naturali, la nostra personalità e individualità debbano
essere totalmente messe da parte. Se fosse così, non potrebbe
esserci detto, come in Ebrei 10:39, che "dobbiamo aver fede per
salvare l'anima" ed ancora: "Voi gioite di una allegrezza
ineffabile e gloriosa, ottenendo il fine della fede: la salvezza dell'anima"
(1 Pietro 1:9), oppure: "Con la vostra perseveranza guadagnerete
le anime vostre" (Luca 21:19). No, non è in questo senso
che perdiamo le nostre anime, perché questo sarebbe perdere
completamente la nostra esistenza individuale. L'anima è sempre
lì con i suoi doni naturali, ma la Croce deve far passare questi
doni naturali attraverso la morte; deve mettere su questi doni naturali
il segno della morte del Cristo, per restituirceli in seguito, come
piacerà a Dio, nella gloriosa risurrezione.
In questo senso, quando Paolo scrive ai Filippesi, egli esprime il
desiderio di "conoscere Gesù Cristo, e la potenza della
sua risurrezione, e la comunione delle sue sofferenze, essendo reso
conforme a lui nella sua morte" (Filippesi 3:10). Il segno della
morte è sempre sull'anima, per guidarla alla sottomissione
dello Spirito, perché non affermi mai la propria indipendenza.
Solo la Croce, operando così, ha potuto produrre un uomo della
statura di Paolo, togliendo ogni valore alle sue risorse naturali
(Filippesi 3), e alle sue proprie forze, così da fargli scrivere
ai Corinzi: "Quando venni a voi non venni ad annunziarvi la testimonianza
di Dio con eccellenza di parole o di sapienza; poiché mi proposi
di non saper altro fra voi, fuorché Gesù Cristo e lui
crocifisso. Ed io sono stato presso di voi con debolezza, con timore
e con gran tremore, e la mia parola e la mia predicazione non hanno
consistito in discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione
di spirito e di potenza, affinché la vostra fede fosse fondata
non sulla sapienza degli uomini, ma sulla potenza di Dio" (1
Corinzi 2:1-5).
L'anima è la sede dei sentimenti e noi sappiamo bene quale
influenza essi hanno sulle nostre decisioni ed azioni. Non c'è
niente di deliberatamente malvagio in essi, intendiamoci, ma nondimeno
- per esempio - fanno nascere in noi un'affezione naturale verso un'altra
persona che, non regolata dallo Spirito, può avere un'influenza
nefasta su tutta la nostra linea di condotta. Così, nel primo
dei quattro passi che abbiamo trascritto, il Signore ci dice: "Colui
che ama suo padre e sua madre più di me, non è degno
di me; colui che ama suo figlio e sua figlia più di me, non
è degno di me e colui che non prende la sua croce e non viene
dietro di me, non è degno di me" (Matteo 10:37-37).
Osservate che il fatto di seguire il Signore sulla via della Croce,
ci è mostrato come il solo vero cammino, la sola via sulla
quale dobbiamo seguire il Signore. E che cosa segue immediatamente?
"Colui che conserva la sua anima, la perderà; e colui
che perde la sua anima per causa mia, la troverà" (Matteo
10:39, tr. lett.; il testo greco ha sempre "psiche", cioè
"anima" in luogo del termine "vita" che si trova
nelle varie versioni della Bibbia).
C'è per noi, in quella suggestione sottile dei sentimenti,
il segreto pericolo di deviare dal cammino di Dio; e la chiave di
tutto è l'anima. La Croce deve agire in questo: io debbo a
"perdere" la mia anima, nel senso che il Signore attribuisce
a queste parole, e che cercheremo di spiegare.
Alcuni di noi sanno bene cosa significa perdere la propria anima.
Non possiamo più acconsentire leggermente ai suoi desideri;
non possiamo più darle importanza, né soddisfarla: questa
è la " perdita " dell'anima. Attraversiamo esperienze
dolorose per arrivare a scoraggiare le sue esigenze. Tuttavia dobbiamo
confessare, molto spesso, che non è un peccato ben definito
che ci impedisce di seguire il Signore fino alla fine. Siamo ostacolati,
qualche volta, da un amore segreto, da un affetto del tutto naturale,
che ci fa deviare dal giusto cammino. Si, l'affezione naturale esercita
una grande influenza sulla nostra vita, e la Croce deve penetrarla
e compiervi la sua opera purificatrice.
Rileggiamo
le parole che abbiamo citato del capitolo 8 di Marco. Credo che questo
sia uno dei passi più importanti:
Il Signore aveva appena annunziato ai suoi discepoli, a Cesarea di
Filippo, ch'Egli doveva andare a morire per mano degli anziani dei
Giudei, e Pietro, spinto dal suo amore per il Maestro, si alzò
a protestare dicendo: "Signore, non fare questo; abbi pietà
di te; questo non ti avverrà mai!". L'amore per il Signore
lo spinse a supplicarlo di risparmiare la sua vita; ed il Signore
dovette riprenderlo, come avrebbe rimproverato Satana, perché
non aveva il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini. E
quindi, alla moltitudine che si radunava intorno a lui, ripeté,
ancora una volta, queste parole: "Se uno vuol venire dietro di
me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Poiché
chi vorrà salvare la sua anima la perderà; ma chi perderà
la sua anima per amor di me e del Vangelo la salverà"
(Marco 8:34-35). (tr. lett.).
Tutta la questione è ancora una volta quella dell'anima, e
qui, in modo particolare, essa mette in rilievo il suo desiderio di
conservazione. C'è quel suggerimento sottile che dice: "Se
mi fosse permesso di vivere farei qualunque cosa, sarei pronto a tutto;
ma bisogna che io sia conservato in vita!". È come se
l'anima gridasse, nella sua disperazione: "Andare alla Croce?
Essere crocifisso? Ma questo è davvero troppo! Abbi pietà
di te stesso; conservati! Pensi davvero che devi andare contro te
stesso per camminare con Dio?". Qualcuno di noi sa bene che per
camminare con Dio, è spesso necessario andare contro la voce
dell'anima, della nostra o di quella degli altri, e lasciare che la
Croce riduca al silenzio il suo istinto di conservazione.
Ho forse paura della volontà di Dio? La cara santa donna che
ho già menzionato e che ha avuto una così grande influenza
sul corso della mia vita, mi pose molte volte questa domanda: "Siete
d'accordo con la volontà di Dio?". Questa è una
domanda formidabile. Ella non mi domandava: "Fate la volontà
di Dio?". Ma chiedeva sempre: "Vi piace la volontà
di Dio?". Non conosco domanda che penetri più profondamente
di questa. Ricordo che un giorno ella aveva difficoltà con
il Signore, riguardo ad una certa cosa. Sapeva quello che il Signore
le domandava, e nel suo intimo desiderava ubbidire; ma le era difficile,
e la sentii pregare così: "Signore, ti confesso che quello
che mi chiedi non mi piace, ma non badare al mio gusto. Aspetta solo
un poco, Signore, e sarò io che accetterò quello che
ti piace".
Ella non voleva che il Signore fosse condiscendente verso di lei ed
accordasse le proprie esigenze col suo gusto. Ella desiderava soltanto
di fare la volontà di Dio. Molte volte occorre che noi giungiamo
al punto di abbandonare al Signore cose che riteniamo buone e preziose,
sì, forse le cose stesse di Dio, affinché la sua volontà
si compia. La preoccupazione che Pietro aveva per il suo Signore era
dettata dal suo amore naturale per lui. Forse pensiamo che Pietro,
per il grande affetto che nutriva per il suo Signore, poteva permettersi
di rimproverarlo. Soltanto un grande amore può spingere qualcuno
ad osare tanto. Sì, crediamo di comprendere Pietro; ma se avremo
lo spirito puro, libero da quell'insieme di sentimenti dell'anima,
non cadremo nell'errore di Pietro; riconosceremo più prontamente
dove si manifesti la volontà di Dio, e troveremo in essa ed
in essa soltanto, la gioia vera del nostro cuore.
Il Signore parla ancora del problema dell'anima al capitolo 17 di
Luca, e questa volta in relazione col suo ritorno. Parlando del "
giorno in cui il Figlio dell'uomo sarà manifestato ",
Egli stabilisce un parallelo fra quel giorno e " il giorno che
Lot uscì da Sodoma " (vers. 29-30). Poco dopo parla del
" rapimento dei santi " con queste parole, ripetute due
volte: " L'uno sarà preso, l'altro lasciato " (vers.
34-35). Ma, fra la sua citazione della chiamata di Lot fuori da Sodoma
e quest'allusione alla riunione dei santi attorno a lui, il Signore
pronunzia queste parole incisive: " In quel giorno, chi sarà
sulla terrazza ed avrà la sua roba in casa, non scenda a prenderla;
e parimente chi sarà nei campi non torni indietro. Ricordatevi
della moglie di Lot! " (Versetto 31-32).
Ricordatevi della moglie di Lot! Perché? Perché: "
chi cercherà di salvare la sua anima, la perderà; ma
chi la perderà, la salverà " . Se non erro, questo
è il solo passo del Nuovo Testamento, che ci parla della nostra
risposta alla chiamata del rapimento. Forse abbiamo pensato che quando
il Figlio dell'uomo verrà, saremo riuniti intorno a lui automaticamente,
per così dire, perché abbiamo letto in 1. Corinzi 15
:51-52: " Tutti saremo mutati in un momento, in un batter d'occhio,
al suono dell'ultima tromba... ". Ora, in qualunque modo possiamo
conciliare questi due passi, quello di Luca dovrebbe almeno farci
fermare a riflettere; perché sottolinea con forza il fatto
che l'uno sarà preso e l'altro lasciato. Si tratta della reazione
che avremo, quando verrà la chiamata a partire, ed è
su questo punto che siamo esortati in modo così pressante ad
essere pronti (confr. Matteo 24:42): " Vegliate, dunque, perché
non sapete in qual giorno il vostro Signore sia per venire ".
C'è, di sicuro, una ragione per questo. È chiaro che
questo appello non produrrà in noi, all'ultimo momento, un
cambiamento miracoloso senza relazione col fatto che abbia I mo o
meno nella nostra vita camminato col Signore. No, in quel momento
conosceremo quale sarà stato il vero tesoro del nostro cuore.
Se sarà stato il Signore, non ci volteremo a guardare indietro.
Uno sguardo rivolto indietro deciderà di tutto. È più
facile attaccarsi maggiormente ai doni di Dio che al Donatore stesso;
e, aggiungerei, all'opera di Dio che a Dio stesso.
Lasciate che vi faccia un esempio. In questo momento (1938, N.d.T.),
sto scrivendo un libro. Ho terminato i primi otto capitoli e me ne
rimangono da scrivere altri nove, per i quali mi sento seriamente
impegnato davanti al Signore. Ma se l'appello: " sali più
in su " risuonasse e la mia risposta fosse: " E che sarà
del mio libro? " potrei benissimo sentirmi dire: " Va bene,
resta lì a terminarlo! ". Le cose preziose che facciamo
giù " nella casa " possono essere sufficienti per
trattenerci in basso, come un chiodo che ci fissa alla terra.
È sempre questione di vivere con l'anima o con lo Spirito.
Qui, nel passo di Luca, la vita dell'anima ci è dipinta come
essendo impegnata nelle cose della terra - e, badiamo bene - cose
che in sé non nuocciono. Il Signore menziona attività
perfettamente legittime - sposarsi, piantare; mangiare, vendere -
nelle quali non c'è niente di essenzialmente cattivo. Ma c'è
il fatto di esserne preoccupati al punto di attaccarvi il nostro cuore,
e questo basta per trattenerci in basso. Il mezzo per sfuggire a questo
pericolo, consiste nel perdere la propria anima. Questo è meravigliosamente
illustrato nell'atto che Pietro compì quando riconobbe il Signore
risuscitato, sulla riva del lago. Benché, con gli altri discepoli,
fosse ritornato momentaneamente alle sue occupazioni di prima, non
pensava più alla barca né alle reti riempite così
miracolosamente di pesci.
Quando udì il grido di Giovanni: " È il Signore!
" ... leggiamo che: " si gettò nell'acqua "
per andare a Gesù. Questo è il vero distacco. La domanda
è sempre la stessa: " Dov'è il mio cuore? ".
La Croce deve produrre in noi un vero distacco spirituale da tutte
le cose e da tutte le persone che non siano il Signore stesso.
Ma, anche con tutto questo, abbiamo finora esaminato soltanto gli
aspetti più esteriori dell'attività dell'anima.
L'anima che lascia le redini ai suoi sentimenti, l'anima che afferma
sé stessa cercando di agire sulle cose, l'anima che si preoccupa
delle cose della terra; queste sono piccole cose che non toccano ancora
il vero centro della questione. C'è qualche cosa di più
profondo ancora che cercherò adesso di spiegare.
LA CROCE
E L'ABBONDANZA DI FRUTTI
Leggiamo di nuovo Giovanni 12:24-25: " In verità in verità
io vi dico che, se il granello di frumento caduto in terra non muore,
rimane solo; ma se muore produce molto frutto. Chi ama la sua vita,
la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà
in vita eterna ". Abbiamo qui, l'opera interiore della Croce,
di cui abbiamo già parlato - la perdita dell'anima, legata
e paragonata con quell'aspetto della morte del Signore Gesù
che abbiamo già visto raffigurato nel granello di frumento,
cioè la sua morte in vista dell'accrescimento. Lo scopo prospettato
è il frutto, molto frutto. C'è un granello di frumento
che contiene la vita, e nondimeno rimane solo. Ha il potere di trasmettere
la sua vita ad altri, ma per far questo dovrà scendere nella
morte. Conosciamo così il cammino seguito dal Signore Gesù.
È entrato nella morte, e, come abbiamo già visto, la
sua vita è risorta in molte altre vite. Il Figlio è
morto, ed è risuscitato come il primogenito di " molti
figli ". Egli ha lasciato la sua vita perché noi potessimo
riceverla. È in questo aspetto della sua morte che noi siamo
chiamati a morire. È qui che Egli ci mostra chiaramente il
valore della nostra conformità con la sua morte, per mezzo
della quale noi perdiamo la nostra vita naturale affinché,
per la potenza della sua risurrezione, possiamo diventare sorgenti
di vita mostrando agli altri la nuova vita di Dio che è in
noi. È questo il segreto del ministero, il cammino per giungere
veramente a rendere frutto abbondante per il Signore. Come dice Paolo:
" Noi che viviamo siamo sempre esposti alla morte per amor di
Gesù, onde anche la vita di Gesù sia manifesta nella
nostra carne mortale. Talché la morte opera in noi, ma la vita
in voi " (2° Cor. 4: 11-12).
Arriviamo al cuore del problema. In noi che abbiamo ricevuto il Cristo,
esiste una vita nuova. Abbiamo tutti questo bene prezioso, questo
tesoro in vasi di terra. Dio sia lodato per la realtà della
sua vita in noi! Ma perché questa vita ha una così misera
espressione? Perché ci accade di " rimaner soli "?
Perché questa vita non straripa per comunicarsi ad altri? Perché
è così poco apparente, anche nelle nostre singole vite?
La ragione per la quale ci sono così pochi segni di questa
vita, quantunque essa sia presente in noi, è che la nostra
anima avvolge e limita questa vita (come la pula avvolge il granello
di frumento) in modo ch'essa non può manifestarsi. Noi viviamo
della nostra vita; lavoriamo e serviamo con le nostre proprie risorse
naturali; noi non viviamo di Dio. È l'anima che impedisce l'esplosione
della vita. Perdiamola; rinunciamo ad essa: questo è il cammino
della pienezza.
UNA NOTTE
BUIA - UN MATTINO DI RISURREZIONE
Ritorniamo così al ramo di mandorlo che fu messo per una notte
dentro il santuario, - in una notte buia, nella quale non si poteva
veder nulla - ed ecco che al mattino aveva germogliato. Abbiamo qui
la figura della morte e della risurrezione, della vita offerta e della
vita ricevuta. Così il ministero è manifestato. Ma,
come avviene ciò praticamente? Come posso riconoscere che Iddio
agisce in me in questo modo?
Occorre, innanzi tutto, avere ben chiaro un punto importante: l'anima
con le sue riserve di energie e di risorse naturali, continuerà
in noi fino alla morte. Fino a quel momento occorrerà che la
croce operi in noi senza soste, giorno per giorno, per assorbire profondamente
questa sorgente naturale. Questa è la condizione permanente
di servizio esposta da Gesù con queste parole: " Se uno
vuol venire dietro a me, rinunzi a sé stesso, prenda la sua
croce, e mi segua " (Marco 8:34). Noi non possiamo mai sottrarci
a questa condizione, perché colui che lo fa " non è
degno di me " (Matteo 10:38), " non può essere mio
discepolo " (Luca 14:27). La morte e la risurrezione devono rimanere
costantemente in noi come la causa della perdita dell'anima e dell'affermazione
dello Spirito di Dio. Eppure anche qui può esserci una crisi,
che una volta esperimentata e superata è in grado di trasformare
tutta la nostra vita e la nostra maniera di servire il Signore. C'è
una porta stretta attraverso la quale possiamo entrare in un cammino
del tutto nuovo. Giacobbe attraversò una simile crisi a Peniel.
Era " l'uomo naturale " in Giacobbe che cercava di raggiungere
il fine di Dio. Giacobbe sapeva bene che Iddio aveva detto: "
il maggiore servirà il minore " (Genesi 25:23), eppure
si sforzava di realizzare quel disegno con la propria intelligenza
e le proprie risorse naturali. Iddio dovette paralizzare in Giacobbe
le forze naturali e lo fece quando toccò il nervo della sua
coscia. Giacobbe in seguito continuò a camminare, ma camminò
zoppicando. Diventò un Giacobbe diverso, come indica il cambiamento
del suo nome. Egli aveva conservato le sue gambe e poteva servirsene,
ma la loro forza era stata intaccata, ed egli dovette continuare a
zoppicare, a causa di una lesione dalla quale non poté mai
guarire completamente. Iddio deve portarci ad un punto - non posso
dirvi come, ma so che lo farà - dove, attraverso un' esperienza
buia e profonda, la nostra forza naturale sarà intaccata e
indebolita in modo definitivo, così che non oseremo più
avere fiducia in noi stessi. Con alcuni di noi ha dovuto agire in
modo molto strano e farci passare in cammini difficili e dolorosi,
per condurci a quella condizione. Arriviamo, infine, ad un momento
in cui non ci piace più fare un'opera cristiana, in cui quasi
abbiamo paura di fare qualche cosa nel nome del Signore. Ma è
proprio allora che, finalmente, Iddio può incominciare a servirsi
di noi.
Posso dirvi che per un anno, dopo la mia conversione, avevo la passione
di predicare. Mi era impossibile restare in silenzio. Era come se
una forza interiore mi spingesse avanti ed io dovevo obbedire.
Predicare diventò la mia vera vita. II Signore può,
nella sua grazia, permetterci di continuare così per un tempo
indeterminato, ricevendo anche una certa misura di benedizioni, finché
non viene il giorno in cui l'energia naturale che vi spinge è
menomata, e da allora, voi non lavorate più perché vi
piace, ma perché il Signore lo vuole. Prima di questa esperienza,
voi predicate a causa della soddisfazione che trovate nel servire
il Signore in quella forma; eppure talvolta il Signore non poteva
spingervi a fare una cosa che Egli desiderava fosse fatta. Agivate
secondo i vostri impulsi naturali, che sono molto mutevoli perché
dipendono dal vostro temperamento. Quando le vostre emozioni vi spingono
sulla via del Signore, voi procedete con tutte le vostre forze nella
sua opera; ma, se i vostri sentimenti vi spingono da un'altra parte,
siete riluttanti a proseguire anche se il dovere vi chiama. Non siete
arrendevoli nelle mani del Signore. Egli deve, dunque, indebolire
in voi queste tendenze preferenziali, basate sul piacere o sul dispiacere,
fino a che voi facciate una cosa perché Egli lo vuole e non
perché vi piace. Vi piaccia o non vi piaccia, lo farete egualmente.
Anche se non troverete soddisfazione nel predicare o nel fare questa
o quell'opera per il Signore, la compirete. La compirete ora esclusivamente
perché è la volontà di Dio, senza badare se vi
darà gioia o no. La vera gioia che provate nel compiere la
sua volontà, è più profonda delle nostre volubili
emozioni. Iddio vi conduce al punto in cui Egli non abbia più
che da esprimere un desiderio perché voi gli rispondiate immediatamente.
Questo è l'atteggiamento del Servitore, di cui parla il Salmo
40, ai versetti 7 e 8: " Io ho detto: eccomi, vengo! Sta scritto
di me nel rotolo del libro: Dio mio, io prendo piacere nel fare la
tua volontà, e la tua legge è dentro al mio cuore ".
Ma un simile spirito non viene naturalmente in nessuno di noi. Si
manifesta solo quando la nostra anima, che è la sede delle
nostre energie, della nostra volontà e dei nostri sentimenti
naturali, sarà stata attratta dalla Croce sotto la legge del
Signore. Egli desidera trovare in noi questa disposizione al servizio.
Il cammino per giungere ad essa può essere lungo o ci si può
arrivare in un lampo: Iddio ha le sue vie e noi le dobbiamo rispettare.
Tutti i veri servitori di Dio debbono conoscere, ad un dato momento,
questa debolezza senza rimedio, per la quale non saranno mai più
quelli di prima. Bisogna che si stabilisca in voi quel sentimento
per il quale, da allora in poi, avrete davvero paura di voi stessi.
Avrete paura di agire secondo gli impulsi della vostra anima, perché
saprete quali rimorsi proverete davanti a Dio, nel vostro cuore, se
farete così. Avete fatto l'esperienza di avere su di voi la
mano di Dio d'amore che vi corregge, del Dio che " vi tratta
come figliuoli " (Ebrei 12:7). II suo Spirito stesso rende testimonianza
nel vostro spirito di questo legame di figliolanza, come dell'eredità
e della gloria che sono nostre " se soffriamo con lui "
(Romani 8:16-17), e la risposta del nostro spirito al Padre, è:
" Abba, Padre ".
Ma, quando queste esperienze sono realmente state vissute da voi,
vi trovate su una base nuova che chiamiamo " base di risurrezione
".
Può darsi che la morte abbia prodotto una crisi nella vostra
vita naturale, ma quando l'avrete superata, comprenderete che Dio
vi ha liberati con la risurrezione e che quello che avevate perduto,
vi è. restituito, sebbene in una natura diversa. Il principio
della vita è all'opera adesso in voi, come qualcosa che vi
guida, vi dà forza, vi riempie di una vita nuova e divina.
D'ora in poi quello che avete perduto vi sarà reso, ma rivestito
di una nuova forza, perché posto, oramai, sotto il controllo
dei cieli.
Lasciate che vi esponga di nuovo tutto questo nella maniera più
chiara. Se vogliamo essere uomini e donne spirituali, non abbiamo
bisogno di tagliarci le mani od i piedi: possiamo ancora conservare
intatto il nostro corpo. Allo stesso modo possiamo conservare la nostra
anima, con l'uso pieno delle sue facoltà; ma essa non è
più, ora, l'ispiratrice , della nostra vita. Non viviamo più
in essa traendone la nostra ragione di vita. L'adoperiamo soltanto.
Se il corpo diventa la base della nostra vita, viviamo come bestie.
Se L'anima diventa la base della nostra vita, viviamo come ribelli
e fuggiaschi davanti a Dio - intelligenti, colti, saggi senza alcun
dubbio, ma estranei alla vita di Dio. - Ma quando arriviamo a vivere
la nostra vita nello Spirito e per lo Spirito, benché usiamo
ancora le facoltà della nostra anima, come adoperiamo le nostre
forze fisiche, esse sono ormai al servizio dello Spirito; e quando
siamo in queste condizioni, Iddio può adoperarci con efficacia.
La difficoltà per molti di noi, è quella notte buia.
Il Signore, nella sua grazia, mi ha messo in disparte, una volta nella
mia vita, per molti mesi, e mi ha lasciato, spiritualmente, in un'oscurità
assoluta. È stato quasi come se mi avesse abbandonato, come
se tutto fosse finito. E poi, poco a poco, mi ha reso quello che sembrava
fosse sparito. Noi abbiamo sempre la tentazione di voler aiutare Dio,
col riprendere le cose da noi stessi, ma ricordiamoci che occorre
trascorrere una notte intera nel santuario, un'intera notte nell'oscurità.
Nessuno può affrettarne la fine; Dio sa quello che fa.
Vorremmo vivere la morte e la risurrezione nello spazio di un'ora.
Indietreggiamo di fronte al pensiero che Dio possa metterci in disparte
per un tempo tanto lungo; non possiamo sopportare l'attesa. Ed io
non posso dire quanto tempo passerà, ma penso che si possa
essere sicuri che ci sarà un periodo ben definito nel quale
Egli vi terrà così. Vi sembrerà che nulla avvenga,
che tutto quello che apprezzate vi sfugga di mano. Avrete l'impressione
di essere dietro un muro senza uscita. Vi sembrerà che tutti
gli altri siano benedetti e attivi, e che voi siate stati oltrepassati
e dimenticati. State tranquilli. Tutto è nelle tenebre, ma
solo per una notte. Dev'essere una notte intera, ma questo è
tutto. Vedrete poi che tutto vi sarà reso in una gloriosa risurrezione,
e nulla potrà misurare la differenza fra quello che era prima
e quello che sarà dopo.
Mi trovavo, una sera, a cena con un giovane fratello al quale il Signore
aveva parlato di questo problema della nostra energia naturale. Egli
mi disse: " Quale esperienza benedetta sapere che il Signore
vi ha incontrato e vi ha toccato in quella maniera decisiva, e sapere
che, dopo quell'incontro, le nostre forze se ne sono andate ".
C'era davanti a noi, sulla tavola, un piatto di biscotti; io ne presi
uno e lo spezzai in due come per mangiarlo. Poi, congiungendo insieme
i due pezzi con cura, gli dissi: " Sembra di nuovo come prima,
ma invece, non sarà più lo stesso, non è vero?
Quando la vostra forza è spezzata, non vi resta che abbandonarvi
sempre più al minimo tocco di Dio ".
È così. Il Signore sa quello che fa con i suoi, e non
resta nessun aspetto della nostra vita al quale Egli non provveda
con la sua Croce, affinché la gloria del Figlio sia manifestata
nei figli. I discepoli che hanno percorso questa via, possono fare
pienamente eco alle parole dell'Apostolo Paolo, che poteva dire d'aver
servito il Signore "nello spirito mio, annunziando l'Evangelo
del suo Figliuolo" (Romani 1:9).
Essi hanno imparato, come lui, il segreto di un tale ministero: "Noi...
offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, ci
gloriamo in Cristo Gesù, e non ci confidiamo nella carne"
(Filippesi 3:3).
Pochi possono aver avuto una vita più attiva di quella dell'apostolo
Paolo. Nella sua lettera ai Romani, egli ricorda d'aver predicato
l'Evangelo da Gerusalemme fino all'Illiria (Romani 15:19), ed afferma
di essere pronto ad andare fino a Roma (1:10), e di là, se
possibile, in Spagna (15:24-28). Eppure, in questo servizio che abbraccia
l'intero mondo mediterraneo, il suo cuore è fissato sopra un
solo obiettivo: l'esaltazione di Colui che l'ha reso possibile.
"Io ho dunque di che gloriarmi in Cristo Gesù, per quel che
concerne le cose di Dio; perché io non ardirei dir cosa che
il Cristo non abbia operata per mio mezzo, in vista dell'ubbidienza
dei Gentili, in parola e in opera" (Romani 15:17-18). Questo
è servizio spirituale.
Piaccia al Signore di fare di ciascuno di noi, così profondamente
come lo era Paolo, "uno schiavo di Gesù Cristo".
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