Prove
storiche da fonti non cristiane
sull'esistenza
e sulla vita di Gesù Cristo
elaborato sulla base di uno studio di M. Gleghorn
Nota
del curatore: come ho sottolineato nell'indice di questa sezione del sito, ho voluto riportare alcuni documenti riguardanti le conferme
storiche e archeologiche in quanto possono tornare utili a quanti si confrontano
con discussioni su determinate questioni.
La nostra fede, tuttavia, non si fonda sulle conferme che abbiamo
dalle scienze, ma unicamente sull'incontro che abbiamo fatto con il Signore Gesù,
e sulla comunione che abbiamo con Lui giorno per giorno da quanto lo abbiamo
conosciuto nella nostra vita.
Nonostante
l'evidenza dell'accuratezza e della fedeltà storica del Nuovo
Testamento della Bibbia, molte persone rifiutano di accettarne e crederne il contenuto
perché vogliono un riscontro in fonti non bibliche e non cristiane che
ne avvalorino le affermazioni.
Alcuni
agnostici ed atei affermano che escludendo "qualche oscuro riferimento in
Giuseppe Flavio e simili", non ci sono prove storiche della vita di Gesù
al di fuori della Bibbia.
La realtà
è che tali prove esistono, e in questo articolo ne osserveremo
qualcuna.
Prove dagli annali di Cornelio
Tacito
Cominciamo
con un passaggio che lo storico Edwin Yamauchi definisce "probabilmente il
riferimento più importante a Gesù al di fuori del Nuovo Testamento".
Cornelio Tacito è comunemente riconosciuto come storico tra i più
scrupolosi, come ci attesta anche l'antica testimonianza di Plinio il Giovane
che ne loda la diligenza; Tacito si dedicò infatti con gran scrupolo alla
raccolta di informazioni e notizie, utilizzando non solo fonti letterarie, ma
anche documentarie. Per la sua posizione politica, egli aveva accesso agli acta
senatus (i verbali delle sedute del senato romano) e agli acta diurna populi
romani (gli atti governativi e le notizie su ciò che accadeva giorno
per giorno).
Riportando la decisione dell'imperatore Nerone di riversare sui Cristiani la colpa
dell'incendio che distrusse Roma nel 64 d.C., Tacito scrisse:
"Nerone
si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la
plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze, denominava cristiani. Origine
di questo nome era Christus, il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato
all'estrema condanna dal procuratore Ponzio Pilato" (Tacito, Annali XV,
44).
Cosa possiamo
apprendere da questo antico (e piuttosto animoso) riferimento a Gesù e
ai primi Cristiani? Notiamo, innanzi tutto, che Tacito riporta che il titolo di
Cristiani deriva da una persona realmente esistita, chiamata Christus, il nome
latino per Cristo. Di lui si dice che ha subìto "l'estrema condanna",
alludendo ovviamente al metodo romano di praticare l'esecuzione capitale mediante
la crocifissione.
Questi avvenimenti sono avvenuti "durante il regno di Tiberio" e per
decisione di Ponzio Pilato. Ciò conferma le affermazioni del Vangelo sulle
circostanze della morte di Gesù.
Tacito riporta anche le seguenti notizie sulla persecuzione verso i cristiani:
"Alla
pena vi aggiunse lo scherno: alcuni ricoperti con pelli di belve furono lasciati
sbranare dai cani, altri furono crocifissi, ad altri fu appiccato il fuoco in
modo da servire d'illuminazione notturna, una volta che era terminato il giorno.
Nerone aveva offerto i suoi giardini per lo spettacolo e dava giochi nel Circo,
ove egli con la divisa di auriga si mescolava alla plebe oppure partecipava alle
corse con il suo carro. . . . [I cristiani] erano annientati non per un bene pubblico,
ma per soddisfare la crudeltà di un individuo."
Come Tacito,
anche Svetonio (120 d.C.), scriba dell'imperatore Adriano, fa riferimento a Gesù
ed i suoi seguaci nelle Epistole (X, 96). Nella "Vita di Claudio", inoltre,
egli scrive: "Claudio espulse i giudei da Roma, visto che sotto l'impulso
d'un certo Christus non cessavano di agitarsi" (Claudius 25).
Ci sono
inoltre altri autori antichi, fra i quali Epitteto, Galeno, Celso, l'imperatore
Marco Aurelio, il siriaco Mara Bar Serapion e Luciano di Samosata; questi e altri
hanno fatto allusioni a Gesù e ai cristiani.
(N.d.r.:
Per quanto riguarda i commenti sulle "nefandezze" di cui si accusavano
i Cristiani, si rimanda alle note a fine pagina).
Prove da Plinio il Giovane
Un'altra
importante fonte di prove storiche su Gesù e sui primi Cristiani si trova
nelle lettere di Plinio il Giovane all'imperatore Traiano. Plinio fu allievo del
famoso retore Quintiliano, ed era il governatore romano di Bitinia, in Asia Minore,
e del Ponto. Egli ci ha lasciato una raccolta di epistole contenute in 10 libri,
l'ultimo dei quali contiene il carteggio ufficiale tra lui e l'imperatore Traiano.
Queste lettere risalgono per lo più al periodo del governatorato di Plinio
in Bitinia, ovvero agli anni 111-113, e sono una fonte documentaria di eccezionale
importanza.
In una
delle sue lettere, egli chiede consiglio a Traiano sul modo più appropriato
di condurre le procedure legali contro le persone accusate di essere Cristiane
(cfr. Plinio, Epistole X,96).
Plinio dichiara di avere necessità di consultare l'imperatore riguardo
a tale questione, poiché un gran numero di persone, di ogni età,
sesso e ceto sociale, erano state accusate di essere Cristiani.
Il procedimento
di Plinio è il seguente: egli interroga i presunti Cristiani, e se essi
risultano tali, e non ritrattano entro il terzo interrogatorio, li manda a morte.
Per coloro che neghino di essere Cristiani, o dicano di esserlo stato in passato,
anche vent'anni prima (allusione alle apostasie dovute alla persecuzione di Domiziano?),
egli pretende la dimostrazione di quanto affermano, inducendoli a sacrificare
agli dei, a venerare l'effigie dell'imperatore e a imprecare contro Gesù
Cristo.
A un certo
punto della sua lettera, Plinio riporta alcune informazioni sui Cristiani:
"Essi
avevano l'abitudine di incontrarsi in un certo giorno prestabilito prima che facesse
giorno, e quindi cantavano in versi alternati a Cristo, come a un dio, e pronunciavano
il voto solenne di non compiere alcun delitto, né frode, furto o adulterio,
né di mancare alla parola data, né di rifiutare la restituzione
di un deposito; dopo ciò, era loro uso sciogliere l'assemblea e riunirsi
poi nuovamente per partecipare al pasto - un cibo di tipo ordinario e innocuo"
(Plinio, Epistole, trad. di W. Melmoth, revis. di W.M.L. Hutchinson, vol. II,
X,96).
Questo
passaggio ci fornisce un interessante scorcio della vita e delle pratiche dei
primi Cristiani. Innanzi tutto, leggiamo che i Cristiani si incontravano regolarmente
un certo giorno per adorare. Poi, leggiamo che la loro adorazione era diretta
a Cristo, e ciò dimostra che essi credevano fermamente nella Sua divinità.
Inoltre, la frase di Plinio che sottolinea come i Cristiani cantassero inni a
Cristo "come a un dio", viene interpretata da uno studioso come riferimento
al fatto singolare che, "a differenza degli dèi che venivano adorati
dai romani, Cristo era una persona che era vissuta sulla terra" (M. Harris,
"References to Jesus in Early Classical Authors"). Se questa interpretazione
è corretta, allora Plinio comprendeva che i Cristiani stavano adorando
una persona realmente esistita che però reputavano essere Dio stesso. Questa
conclusione concorda perfettamente con la dottrina della Bibbia secondo cui Gesù
è Dio ma venne nel mondo come uomo.
Non solo
la lettera di Plinio ci conferma ciò che i primi Cristiani credevano sulla
persona di Gesù, ma rivela anche la grande considerazione in cui tenevano
i Suoi insegnamenti. Ad esempio, Plinio nota che i Cristiani "pronunciavano
il voto solenne" di non violare alcuno standard morale, il che trova la sua
fonte negli insegnamenti e nell'etica di Gesù. Inoltre,
il riferimento di Plinio all'usanza Cristiana di condividere un pasto comune fa
evidentemente riferimento alla loro osservanza di prescrizioni Cristiane come
la comunione fraterna e lo "spezzare il pane" insieme, di cui parla
il Nuovo Testamento (Habermas, "The Historical Jesus").
Plinio
sottolinea anche che il loro era "un cibo di tipo ordinario e innocuo",
quindi rigetta le false accuse di "cannibalismo rituale" sollevate da
alcuni pagani, come Cecilio (cfr. Bruce, "Christian Origins", 28), insieme
ad altre simili dicerie (infanticidio, riunioni edipodee e cene tiestee in cui
ci si cibava di infanti), e non ritiene i Cristiani pericolosi membri di sodalizi
sovversivi.
Circa
le molte calunnie contro i Cristiani (su cui aveva anche fatto leva Nerone per
accusarli dell'incendio di Roma), il cartaginese Quinto Settimio Fiorente Tertulliano
(160-222 circa), avvocato e letterato, dichiarò espressamente che esse
non avevano nulla a vedere con i motivi delle sentenze di morte: "Le vostre
sentenze", scrive, "muovono da un solo delitto: la confessione
dell'essere cristiano. Nessun crimine è ricordato, se non il crimine
del nome". Egli anzi cita la formula di queste sentenze: "In
fin dei conti, che cosa leggete dalla tavoletta? 'Egli è cristiano.' Perché
non aggiungete anche omicida?".
Prove da Giuseppe Flavio
Quelli
che forse sono i riferimenti più notevoli a Gesù al di fuori della
Bibbia, si trovano negli scritti di Giuseppe Flavio, uno storico giudeo-romano
del primo secolo (nacque nel 37 d.C.), che fu prima delegato del Sinedrio e governatore
della Galilea, ed in seguito consigliere al servizio dell'imperatore Vespasiano
e di suo figlio Tito.
Nelle
sue "Antichità giudaiche", egli menziona diverse volte Gesù
e i Cristiani. In uno dei riferimenti descrive l'illegale lapidazione dell'apostolo
Giacomo, che era a capo della comunità cristiana di Gerusalemme, avvenuta
nel 62, descritto come un atto sconsiderato del sommo sacerdote nei confronti
di un uomo virtuoso: "Anano ... convocò il sinedrio a giudizio e vi
condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni
altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione"
(Ant. XX, 200). Questa
descrizione combacia con quella fatta dall'apostolo Paolo in Galati 1:19, dove
egli parla di "Giacomo, il fratello del Signore".
In un
altro passo, Giuseppe Flavio menziona la figura di Giovanni Battista; Erode Antipa,
per sposare Erodiade moglie del proprio fratello aveva ripudiato la figlia di
Arete, re di Nabatene, la quale si rifugiò dal proprio padre. Ne sorse
una guerra nel 36 in cui Erode fu sconfitto, e questo è il commento di
Giuseppe Flavio:
"Ad alcuni
dei Giudei parve che l'esercito di Erode fosse stato annientato da Dio, il
quale giustamente aveva vendicato l'uccisione di Giovanni soprannominato
il Battista. Erode infatti mise a morte quel buon uomo che spingeva i Giudei che
praticavano la virtù e osservavano la giustizia fra di loro e la pietà
verso Dio a venire insieme al battesimo; così infatti sembrava a lui accettabile
il battesimo, non già per il perdono di certi peccati commessi, ma per
la purificazione del corpo, in quanto certamente l'anima è già
purificata in anticipo per mezzo della giustizia. Ma quando si aggiunsero altre
persone - infatti provarono il massimo piacere nell'ascoltare i suoi sermoni
- temendo Erode la sua grandissima capacità di persuadere la gente, che
non portasse a qualche sedizione - parevano infatti pronti a fare qualsiasi cosa
dietro sua esortazione - ritenne molto meglio, prima che ne sorgesse qualche novità,
sbarazzarsene prendendo l'iniziativa per primo, piuttosto che pentirsi dopo,
messo alle strette in seguito ad un subbuglio. Ed egli per questo sospetto di
Erode fu mandato in catene alla già citata fortezza di Macheronte, e colà
fu ucciso" (Antichità XVIII,116-119).
Altrettanto
interessante, e davvero sorprendente, è un capitolo della stessa opera,
conosciuto come "Testimonium Flavianum", nel quale leggiamo (libro 18,
capitolo 3, paragrafo 3):
"Ci
fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se è lecito chiamarlo uomo:
era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con
piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti
dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili
fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano
amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già
annunziato i divini profeti queste e migliaia d'altre meraviglie riguardo
a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui,
sono chiamati Cristiani" (Giuseppe Flavio, Antichità XVIII, 63-64).
Giuseppe
Flavio menziona anche Giovanni il Battista, e Giacomo il fratello di Gesù.
Egli parla inoltre del battesimo praticato da Giovanni il Battista, dei suoi discepoli,
della sua condanna a morte sotto Erode (Antichità XVIII, 5). E' interessante
la seguente citazione dal libro 20 capitolo 9 paragrafo 1 della sua opera:
"Festo
era ora morto, e Albino era per la strada; così riunì il Sinedrio
dei giudici, e portò dinanzi a loro il fratello di Gesù che era
chiamato Cristo, il cui nome era Giacomo, e alcuni altri, e quando ebbe formato
un'accusa contro di loro come violatori della legge, li consegnò loro per
essere lapidati" (Giuseppe Flavio, ibid.).
Alcuni
studiosi esprimono dubbi sull'autenticità del primo brano di questi due
brani; ritengono infatti che Giuseppe Flavio sia realmente l'autore del brano,
ma che questo possa essere stato alterato da qualche Cristiano. Il motivo di questi
dubbi è che Giuseppe Flavio non era un Cristiano, e quindi essi trovano
difficile credere che egli potesse fare affermazioni in favore della divinità
di Cristo. Ad esempio, l'affermazione che Gesù era "un saggio"
la ritengono originale, mentre sospettano la frase "se è lecito chiamarlo
uomo", in quanto essa lascia scorgere l'idea che Gesù potesse essere
di natura divina. Allo stesso modo, trovano difficile che un non cristiano possa
attribuire a Gesù il titolo di "Cristo".
Notiamo però che secondo il Vangelo ciò fu precisamente quello che
fece Pilato; è scritto anche che Erode credeva nei miracoli di Gesù,
ma che Gesù non volle compiere alcuno dei miracoli che Erode gli chiese
di fare. Né Pilato né Erode erano Cristiani. Dopo la morte di Gesù,
persino il centurione romano che era con le guardie arrivò a dire: "veramente
costui era Figlio di Dio" (Matteo 27:54).
Anche lo storico Eusebio, vissuto agli inizi del IV secolo, conosceva questo passaggio
di Giuseppe Flavio e lo accettò come originale; lo stesso fecero Girolamo
e Ambrogio. Persino il tedesco A. von Harnack, noto per le sue violente critiche,
lo considerò originale.
Roger Liebi scrive: "...dal punto di vista della critica dei testi (cioè
dall'esame dei vecchi manoscritti tramandatici), non appare giustificato neanche
il minimo dubbio in merito a una simile falsificazione. Vi
è da aggiungere l'interessante constatazione che Eusebio (263-339) ha conosciuto
questo passo, perché lo riporta due volte nei suoi scritti. Una volta nella
«Storia della chiesa» I,12 e una volta nella «Demonstratio Evangelica»
III,5. Vi è pure da notare che, fra gli altri, il Dott. H. St. John Thackeray,
uno dei più importanti studiosi inglesi delle questioni concernenti Giuseppe
Flavio, ha di recente constatato che questo passo mostra determinate peculiarità
linguistiche che sono caratteristiche di Giuseppe Flavio".
Lo studioso A. Nicolotti commenta: "...se il passo su Gesù fosse stato
costruito a tavolino da un interpolatore cristiano, sarebbe stato verosimilmente
inserito subito dopo il resoconto di Giuseppe su Giovanni Battista, mentre in
Giuseppe l'accenno a Gesù non segue il racconto di Giovanni. D'altra parte,
sarebbe strano che Giuseppe abbia omesso di registrare qualche informazione su
Gesù, dato che si occupa del Battista, di Giacomo e di altri personaggi
del genere; né il cristianesimo, da storico qual era, gli poteva essere
ignoto, essendo a quei tempi penetrato fin nella famiglia imperiale. Quando poi
Giuseppe più avanti tratta di Giacomo, invece di indicare come si faceva
di solito il nome del padre per identificarlo (Giacomo figlio di...), lo chiama
"fratello di Gesù detto il Cristo", senza aggiungere altro, lasciando
intendere che questa figura era già nota ai suoi lettori. Se a ciò
si aggiunge che Flavio Giuseppe parla già di altri "profeti"
(come appunto Giovanni, oppure Teuda), è perfettamente plausibile che si
sia occupato anche di Cristo".
In ogni caso, anche scegliendo di non considerare i punti "sospetti"
di questo passaggio, che diversi studiosi di larga fama (F. K. Burkitt, C.G. Bretschneider,
A. von Harnack e R.H.J. Schutt) hanno invece difeso, rimane ugualmente una buona
quantità di informazioni che avvalorano la visione biblica di Gesù.
Leggiamo che era "un uomo saggio" e che "compì opere straordinare".
E sebbene fosse stato crocifisso per mano di Pilato, i Suoi seguaci "non
scomparvero", ma anzi continuarono a seguire la via di Cristo e furono conosciuti
come Cristiani. Quando combiniamo queste affermazioni con la frase di Giuseppe:
"Gesù, detto Cristo", ne emerge un quadro piuttosto dettagliato
che si armonizza bene con i resoconti biblici. Appare sempre più evidente
che il "Gesù biblico" e il "Gesù storico" sono
la stessa persona.
Prove dal Talmud Babilonese
Ci sono
solo pochi riferimenti espliciti a Gesù nel Talmud Babilonese, una collezione
di scritti rabbinici ebrei, compilata verso il 70-500 d.C. circa. Il primo periodo
di compilazione del Talmud è il 70-200 d.C. (Habermas, ibid.). Il passaggio
più significativo che fa riferimento a Gesù è il seguente:
"Alla
vigilia della Pasqua [ebraica], Yeshu fu appeso. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione,
un araldo . . . gridava: "Egli sta per essere lapidato perché ha praticato
la stregoneria e ha condotto Israele verso l'apostasia" (Talmud Babilonese,
trad. di I. Epstein, vol. III, 43a/281; cfr. Sanhedrin B, 43b).
Esaminiamo
questo passaggio. "Yeshu" (o "Yeshua") è il nome di
Gesù in lingua ebraica. Ma allora perché è scritto che Gesù
"fu appeso"? Il Nuovo Testamento non dice che Gesù fu crocifisso?
Questo è certo, ma il termine "appeso" indica proprio la crocifissione.
Ad esempio, in Galati 3:13 leggiamo che Cristo fu "appeso", in Atti
10:39 che fu "appeso al legno", e in Luca 23:39 questo termine viene
usato anche per i criminali che furono crocifissi assieme a Gesù. Troviamo
questo termine anche in Giuseppe Flavio.
Il Talmud afferma inoltre che Gesù fu crocifisso alla vigilia della Pasqua
ebraica, proprio come riportato nel Nuovo Testamento (Matteo 26:2; 27:15).
Ma che
dire allora dell'annuncio dell'araldo, secondo cui Gesù sarebbe dovuto
essere lapidato? La condanna che avevano in mente i Giudei era evidentemente la
lapidazione (ciò si evince molto chiaramente dal Nuovo Testamento in Giovanni
10:31-33, 11:8, 8:58-59). Furono i Romani a cambiare tale giudizio, mutandolo
in crocifissione (cfr. Giovanni 18:31-32).
Il passaggio
spiega anche il motivo per cui Gesù fu crocifisso. Esso riporta che Egli
praticava la "stregoneria" e che aveva "condotto Israele verso
l'apostasia". Dal momento che questa affermazione proviene da una fonte ostile
a Cristo, non meraviglia il fatto che questi Ebrei descrivessero la situazione
dal loro punto di vista. È interessante, però, notare il parallelismo
tra queste accuse e quelle rivolte dai farisei a Gesù nel Nuovo Testamento.
Essi infatti, vedendo le liberazione da Lui compiute, lo accusavano di scacciare
i demòni "con l'aiuto di Beelzebub, principe dei demòni"
(Matteo 12:24). Notiamo anche che questa è una conferma del fatto che Gesù
compì realmente delle opere miracolose. A quanto pare i Suoi miracoli erano
talmente reali da non poter essere negati pubblicamente, dunque l'unica alternativa
era attribuirli alla stregoneria! Allo stesso modo, l'accusa di aver condotto
Israele verso l'apostasia, collima con il racconto del Vangelo secondo cui i capi
di Israele accusarono Gesù di stare sovvertendo la nazione mediante i Suoi
insegnamenti (Luca 23:2,5). Una simile accusa da parte dei religiosi dell'epoca,
non fa altro che confermare la realtà della potenza degli insegnamenti
di Gesù.
Dunque, se letto con attenzione, questo passaggio del Talmud conferma diverse
affermazioni che il Nuovo Testamento fa su Gesù.
Prove da Luciano
Il retore
scettico Luciano, nato a Samosata intorno al 120 e morto dopo il 180, attivo nell'età
degli Antonini, ci ha lasciato un'opera intitolata "La morte di Peregrino".
In essa, egli descrive i primi Cristiani nel seguente modo:
"I
Cristiani . . . tutt'oggi adorano un uomo - l'insigne personaggio che introdusse
i loro nuovi riti, e che per questo fu crocifisso. . . . Ad essi fu insegnato
dal loro originale maestro che essi sono tutti fratelli, dal momento della loro
conversione, e [perciò] negano gli dèi della Grecia, e adorano il
saggio crocifisso, vivendo secondo le sue leggi" (Luciano, De morte Per.,
11-13, trad. di H.W. Fowler).
Sebbene
Luciano si beffi dei primi Cristiani per la loro scelta di seguire "il saggio
crocifisso" anziché "gli dèi della Grecia", egli
riporta diverse informazioni interessanti. Innanzi tutto, egli dice che i Cristiani
servivano "un uomo", che "introdusse i loro nuovi riti". E
sebbene i seguaci di questo "uomo" avevano chiaramente un alto concetto
di Lui, molti dei Suoi contemporanei Lo odiavano per i Suoi insegnamenti, al punto
che "per questo fu crocifisso".
Pur non
menzionandone il nome, è chiaro che Luciano si sta riferendo a Gesù.
Ma cosa aveva fatto Gesù per farsi odiare fino a questo punto? Secondo
Luciano, aveva insegnato che tutti gli uomini sono fratelli dal momento della
loro conversione. E fin qui niente di pericoloso. Ma cosa si intendeva con "conversione"?
Significava abbandonare gli dèi Greci, adorare Gesù, e vivere secondo
i Suoi insegnamenti. Non è difficile immaginare che una persona venga uccisa
per aver insegnato queste cose in quell'epoca.
Inoltre, sebbene Luciano non lo dica esplicitamente, il fatto che i Cristiani
rinnegassero gli altri dèi e adorassero Gesù, e facessero questo
pur essendo consapevoli delle persecuzioni cui andavano incontro, implica che
per loro Gesù era senza dubbio più che un essere umano. Perché
tante persone arrivassero a questo, rinnegando tutti gli altri dèi, appare
evidente che per loro Gesù era un Dio più grande di tutti gli altri
dèi che le religioni della Grecia potevano offrire!
Ricapitoliamo, dunque, ciò che abbiamo appreso su Gesù da
questo studio delle antiche fonti non cristiane.
Primo,
sia Giuseppe Flavio che Luciano riconoscono che Gesù era un saggio. Secondo,
Plinio, il Talmud, e Luciano, implicano che Egli era un insegnante potente e riverito.
Terzo, sia Giuseppe che il Talmud indicano che Egli compì opere miracolose.
Quarto, Tacito, Giuseppe, il Talmud, e Luciano, menzionano tutti il fatto che
Egli fu crocifisso. Tacito e Giuseppe dichiarano che ciò avvenne sotto
Ponzio Pilato. E il Talmud dichiara che il periodo era quello della vigilia della
Pasqua ebraica. Quinto, ci sono possibili riferimenti alla risurrezione di Gesù
sia negli scritti di Tacito che in quelli di Giuseppe. Sesto, Giuseppe racconta
che i seguaci di Gesù credevano che Egli fosse il Cristo, cioè il
Messia. E infine, sia Plinio che Luciano indicano che i Cristiani adoravano Gesù
come Dio.
Rendiamoci
conto di come anche prendendo in considerazione alcuni degli antichi scritti non
cristiani, le verità su Gesù riportate nei Vangeli sono da essi
avvalorate e confermate. Naturalmente, oltre alle fonti non cristiane ve ne sono
anche innumerevoli Cristiane, come conseguenza della conversione di tanti a ciò
che era ed è più che semplicemente un fatto storico.
Dato però che l'affidabilità storica dei Vangeli canonici è
così saldamente stabilita, e che tramite essi innumerevoli persone hanno
conosciuto Gesù personalmente nella loro vita, vi invito a leggere direttamente
i Vangeli per avere un resoconto autorevole della vita di Gesù, e più
ancora, per conoscerLo personalmente nella vostra vita!
A proposito
delle dicerie diffuse sui Cristiani dei primi secoli
L'interlocutore pagano
Cecilio, rifacendosi alle dicerie in voga al suo tempo, scriveva: "Essi
[i Cristiani], raccogliendo dalla feccia più ignobile i più ignoranti
e le donnicciuole, facili ad abboccare per la debolezza del loro sesso, formano
una banda di empia congiura, che si raduna in congreghe notturne per celebrare
le sacre vigilie o per banchetti inumani, non con lo scopo di compiere un rito,
ma per scelleraggine; una razza di gente che ama nascondersi e rifugge la luce,
tace in pubblico ed è garrula in segreto. Disprezzano ugualmente gli altari
e le tombe, irridono gli dèi, scherniscono i sacri riti; miseri, commiserano
i sacerdoti (se è lecito dirlo), disprezzano le dignità e le porpore,
essi che sono quasi nudi! [
] Regna tra loro la licenza sfrenata, quasi come
un culto, e si chiamano indistintamente fratelli e sorelle, cosicché, col
manto di un nome sacro, anche la consueta impudicizia diventi incesto. [
]
Ho sentito dire che venerano, dopo averla consacrata, una testa d'asino, non saprei
per quale futile credenza [
] Altri raccontano che venerano e adorano le
parti genitali del medesimo celebrante e sacerdote [
] E chi ci parla di
un uomo punito per un delitto con il sommo supplizio e il legno della croce, che
costituiscono le lugubri sostanze della loro liturgia, attribuisce in fondo a
quei malfattori rotti ad ogni vizio l'altare che più ad essi conviene [
]
Un bambino cosparso di farina, per ingannare gli inesperti, viene posto innanzi
al neofita, [
] viene ucciso. Orribile a dirsi, ne succhiano poi con avidità
il sangue, se ne spartiscono a gara le membra, e con questa vittima stringono
un sacro patto [
] Il loro banchetto, è ben conosciuto: tutti ne parlano
variamente, e lo attesta chiaramente una orazione del nostro retore di Cirta [
]
Si avvinghiano assieme nella complicità del buio, a sorte" (Octavius
VIII, 4-IX, 7).
A risposta di questo
armamentario di accuse infamanti e di seconda mano (Ho sentito dire
), possono
valere le parole che il cristiano Giustino rivolgeva in quegli stessi anni ad
un altro accusatore del Cristianesimo, il filosofo cinico Crescente: "Veramente
è ingiusto ritenere per filosofo colui che, a nostro danno, rende pubblicamente
testimonianza di cose che non conosce, dicendo che i Cristiani sono atei e scellerati;
e dice ciò per ricavarne grazia e favore presso la folla, che resta ingannata"
(II Apologia, VIII).
Si noti che questo
intervento raccoglie tutte assieme accuse che già circolavano dal secolo
precedente, sottintese fin dalle parole di Tacito; ma se alcuni storici si prendevano
la briga di verificarne la veridicità, come fece Plinio il Giovane, altri
contribuivano a diffonderle.
Interessante il riferimento
al culto della testa d'asino, una vecchia accusa già usata da Tacito contro
gli Ebrei, dalla quale si era già difeso Giuseppe Flavio; di essa abbiamo
anche una rappresentazione figurativa, un graffito di età severiana ritrovato
sul Palatino, e ora conservato nell'antiquarium, raffigurante la caricatura di
un uomo crocifisso con testa d'asino, con ai suoi piedi un altro uomo in atto
di adorazione, il tutto accompagnato dalla scritta: "Alessameno adora il
suo Dio".
Note storiche sulle persecuzioni contro i Cristiani nei primi secoli
Publio Adriano, successore
di Traiano, imperatore dal 117 al 138, ricevette una lettera da Quinto Licinio
Silvano Graniano, proconsole d'Asia nel 120 circa, nella quale si richiedevano
istruzioni riguardo al comportamento da tenersi con i Cristiani, spesso oggetto
di delazioni anonime e accuse ingiustificate. Egli rispose con un rescritto, che
ci è pervenuto nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, indirizzato
al successore di Graniano, Caio Minucio Fundano, in carica nel 122-123. In esso
si legge:
"Se pertanto i
provinciali sono in grado di sostenere chiaramente questa petizione contro i Cristiani,
in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura,
e non ad opinioni o clamori. E' infatti assai più opportuno che tu
istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un'accusa. Allora,
se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi
secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia
per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo"
(Hist. Eccl. IV, 9, 2-3).
Gli apologisti, a partire
da Giustino, che riporta il testo di questo rescritto in appendice alla sua prima
Apologia, hanno interpretato favorevolmente questa disposizione, vedendo nella
richiesta di Adriano il primo tentativo di distinguere tra l'accusa di nomen
christianus e i suoi presunti flagitia; il semplice nome cristiano
non doveva essere perseguito, e gli eventuali reati dovevano essere prima dimostrati
tramite regolare processo, come per qualsiasi cittadino. In tal guisa interpretano
anche molti studiosi moderni; tuttavia, ancora sotto Antonino Pio i Cristiani
erano oggetto di persecuzione solamente in quanto tali.
Il successore di Antonino
Pio, Marco Aurelio Antonino, imperatore dal 161 al 180, scrisse intorno al 170,
in lingua greca, un'opera in 12 libri, intitolata "A se stesso",
nella quale raccolse massime, pensieri, ricordi e meditazioni di contenuto filosofico.
In essa trova spazio
un accenno al martirio dei Cristiani:
"Oh, come è
bella l'anima che si tiene pronta, quando ormai deve sciogliersi dal corpo,
o estinguersi, o dissolversi o sopravvivere! Ma tale disposizione derivi dal personale
giudizio, e non da una mera opposizione, come per i Cristiani" (Ad sem.
XI, 3).
Come già Plinio
il Giovane, così anche Marco Aurelio pare essere infastidito dalla ostinazione
dei cristiani, che vanno incontro al martirio pur di non rinnegare la propria
fede. Per l'imperatore, questo tipo di morte non è frutto di un giudizio
interno, sano e ponderato, ma è il frutto di una "una mera opposizione".
Ed è proprio sotto l'impero di questo sovrano "saggio" e
filosofo, che prende forma la grande persecuzione che porterà alla morte,
tra gli altri, di Giustino, Policarpo di Smirne, Carpo, Papilo, Agatonice, e dei
cosiddetti Martiri di Lione.
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