Il cammino cristiano



 

Il relativismo morale dei nostri giorni

tratto da un articolo di P. Moretti

 

Il diffondersi della filosofia esistenzialista ha provocato il rifiuto dell'esistenza di una Verità assoluta. In ogni campo, non solo in quello religioso, si è ormai portati a pensare che tutto sia relativo: non esistono più principi morali oggettivamente validi, tutte le religioni sono buone, per cui bisogna essere accoglienti, aperti, tolleranti. Ormai per chi crede in principi morali assoluti, per chi crede nella verità assoluta sono stati coniati due termini, entrambi dai connotati oggi fortemente negativi: "integralisti" o "fondamentalisti". E, questo, con un atteggiamento contraddittorio, perché in un contesto di relativismo coerente anche gli assolutismi dovrebbero trovare accoglienza e tolleranza.

In questo modo si finisce con il guardare a Cristo come uno dei tanti mediatori che si sono autoproposti a far incontrare l'uomo con Dio, il progetto di salvezza da Lui realizzato sulla croce diventa una delle tante strade possibili per propiziarsi la divinità e anche i suoi insegnamenti morali hanno una valenza relativa, dipendente dalle persone e dalla situazioni.
Le facili etichettature e le critiche diffuse di presunzione o di chiusura non devono scoraggiarci dal continuare a proclamare l'unicità di Cristo, la totale mancanza di alternative salvifiche alla croce, l'assoluto valore della sua Parola come Verità e come sorgente unica e insostituibile di fede, di pace, di gioia, di libertà. Se anche gli uomini dovessero giudicarci, per questo, come "integralisti" e "fondamentalisti", non facciamoci condizionare o spaventare. La nostra fede in Cristo continuerà infatti ad avere senso soltanto se rimarrà "integra" (senza macchie e senza crepe che la deturpino) e soltanto se continuerà ad essere saldamente ancorata alle "fondamenta" eterne!


Il relativismo morale ha travolto in questo secolo la sfera più intima di ogni persona, quella della relazione con il proprio corpo e con il corpo degli altri. Non v'è più alcuna forma di rispetto e di onore per il proprio corpo: esporlo nudo o usarlo, anche mettendolo in vendita, per accoppiamenti vissuti al di fuori di ogni impegno morale (come il matrimonio) e di ogni vincolo (etero e omosessualità sono diventate moralmente indifferenti fra loro) non costituisce più un problema. Di conseguenza, manca anche qualsiasi forma di rispetto per il corpo degli altri: un corpo che può essere denudato, guardato, comprato, sfruttato... Lo squallore viene spacciato per "piacere", la perdita di ogni pudore e onore per "disinibizione", il disordine nelle relazioni per "libertà".

Risuona così particolarmente attuale l'avvertimento divino: "Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene; che cambiano le tenebre in luce, e la luce in tenebre; che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro!"

Eccoli sotto i nostri occhi i frutti del "piacere", della "disinibizione" e della "libertà": l'ansia e l'insicurezza provata da molti giovani pensando al sesso, la crescente difficoltà a goderne davvero i piaceri, le macerie di tante famiglie... e potremmo continuare. Abbandonare la via indicata da Dio "fin dal principio"', quella che indica nel solo contesto del matrimonio il pieno godimento del dono del sesso e quella che esorta a "possedere il proprio corpo in santità ed onore", non può che avere conseguenze nefaste.

Il Signore ci chiama ad andare controcorrente: a "tenere in onore il matrimonio", a "non macchiare d'infedeltà il letto coniugale", a tenerci lontani da ogni forma di "fornicazione" e a non cambiare "l'uso naturale (del sesso) in quello che è contro natura".


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