LOTTA E PACEdi C. H. Spurgeon
Il giovinetto di sedici anni era sconvolto. Prima e dopo essere tornato in famiglia a Colchester per le vacanze, non trovava pace. Il peccato era divenuto per lui "un peso insopportabile". Si sentiva "orribilmente colpevole". Nei sermoni e negli scritti allude spesso all'episodio oltremodo importante della sua conversione. Com'era amaro il mio "dolore!" esclama. "Che giorni oscuri! Che notti terribili! Mi accovacciavo in un angolo solitario della casa e singhiozzavo. La durezza del mio cuore mi spaventava. Mi pareva di essere il più grande dei peccatori, il più maledetto degli uomini. A dire il vero, non avevo commesso nessuno di quei peccati che il mondo giudica gravi, ma non riuscivo a liberarmi dal pensiero opprimente che, avendo ricevuto più che gli altri, di più mi sarebbe stato ridomandato. Pregavo, pregavo, chiedevo misericordia, ma i mesi passavano senza che io ottenessi l'esaudimento delle mie preghiere. Talvolta mi sentivo tanto stanco del mondo che desideravo morire, ma pensando alla prospettiva dell'eternità avevo terrore. Cercavo in tutti i modi di vincere il male, pensando alla punizione divina ma tutto era vano! La mia inclinazione verso il male era troppo forte, perchè la potessi dominare. La mia propria salvezza mi faceva l'effetto d'un sogno inattuabile". Un giorno Spurgeon s'armò di coraggio e aprì il suo cuore torturato, alla madre. "Non posso persuadermi che il Signore voglia salvarmi" le disse. L'energica donna piena di fede cercò di confortarlo: "Ho udito molte persone imprecare e bestemmiare ma non ho mai udito nessuno che ha sostenuto d'essersi rivolto a Gesù e d'esserne stato respinto". Malgrado ciò, Carlo persisteva a credere d'essersi rivolto a Lui e d'esserne stato respinto! Leggeva avidamente "L'invito agli inconvertiti" di Baxter "All'erta peccatori" di Alleine. Leggeva e rileggeva la Bibbia, ma il suo turbamento, invece di scemare, aumentava. Pregando, piangeva, ma non ne provava alcun sollievo. Il sentimento del peccato non gli concedeva requie e il dubbio l'assaliva. Passava ostinatamente da una chiesa all'altra con la vaga speranza di udire finalmente una parola che gli donasse pace e riposo: fu sempre deluso. Tentazioni d'ogni specie facevano un tumulto in quel povero cuore. Dubitò di tutto: di Dio, di Cristo, dell'inferno, del paradiso; dubitò perfino dell'esistenza del mondo e della propria, ma il nulla l'atterrì e lo scosse dal sogno diabolico: egli ricominciò a credere alla propria esistenza, a Dio e a Gesù Cristo, senza trovar per questo la pace della coscienza. La legge santa di Dio lo sbigottiva. Aveva cercato d'osservarla, ma con quale risultato? Di fronte alla perfezione dei comandamenti divini emergeva la sua enorme debolezza. "Che fare, come fare per esser salvato?" La coscienza lo martellava. Sentiva che da sè non avrebbe potuto salvarsi. Con l'animo in lotta continuava a frequentare tutti i luoghi di culto di Colchester, sorretto dal filo di speranza di poter pervenire ad una risposta soddisfacente al quesito che lo martoriava: "Che farò, come farò per essere salvato?" Una domenica mattina, era il 6 Gennaio 1850, la neve cadeva abbondante. Le vie di Colchester erano deserte. Carlo Spurgeon uscì egualmente. Per nulla al mondo si sarebbe rassegnato a perdere un solo culto: un culto perso sarebbe stato, secondo lui, una probabile occasione in meno per incontrar la salvezza. Dunque uscì. Aveva pensato di andare a una certa chiesa, ma, a un tratto, la bufera si fece tanto impetuosa che fu costretto a cambiare direzione. Infilò velocemente la prima viuzza che trovò: un vicolo oscuro che metteva in uno spiazzo dove c'era una modestissima chiesa che il giovanetto non aveva mai visto. Ne aveva però sentito parlare: gli era stato detto che in quella radunanza si cantava così orribilmente forte da provocare un gran mal di testa. Entrò tuttavia, pensando: "Mi verrà mal di testa, ma almeno oggi non perderò il culto". Si mise a sedere, ma, aspetta, aspetta nessun pastore compariva. Il pastore doveva certamente essere stato bloccato dalla neve che continuava a cadere con maggior furia di prima. Finalmente, dopo un lungo e noioso attendere, un uomo che era seduto con le altre persone in un banco, un uomo di misera apparenza, piccino e secco, si alza e si avvia a salire sul pulpito, evidentemente con l'intenzione di supplire alla meglio il pastore bloccato dalla neve. Chi era? Un sarto? Un calzolaio? Spurgeon non lo seppe mai e non lo rivide più da quella volta in poi. "Non l'ho più rivisto da allora" egli dice "e non lo rivedrò probabilmente che in cielo". L'ometto aprì la Bibbia e lesse in Isaia il capitolo quarantacinque e quindi scelse il testo della sua "chiacchierata" (retoricamente parlando, il discorso non meritava un più bel nome): il versetto ventidue di quel medesimo capitolo: "Guardate a me e siate salvati, voi tutte le estremità della terra! Poiché io sono Dio e non ce n'è alcun altro". L'oratore improvvisato leggeva male e parlava peggio, con frasi rotte e quasi a singhiozzi, con pronunzia campagnola. Nonostante ciò fin dalle prime parole il sermone produsse un profondo effetto sull'animo angosciato di Spurgeon! Disse: "Guardate"! È cosa facile il guardare! Ma a chi dobbiamo guardare? Al Cristo! È necessario guardare al Cristo e non a se stessi. Guardate dunque a Cristo! Nel testo ci è detto: "Guardate a me, guardate a me, esclama Gesù, guardate a me: io sudo gocce di sangue! Guardate a me: io sono crocifisso! Guardate a me: io risuscito dai morti! Guardate a me: io risalgo al cielo! Guardate a me: io sono seduto alla destra del Padre! O peccatore, guarda, guarda a me"! Poi, volgendo lo sguardo verso il luogo dove lo Spurgeon se ne stava seduto, l'oratore aggiunse: "Giovanotto, mi sembrate molto abbattuto e infelice e sempre lo sarete, finché non fate ciò che ordina il testo". E, levando le mani, gridò con voce energica: "Guardate, guardate, guardate al Cristo! Egli v'invita a sè!". Spurgeon ha alluso spesse volte alla commozione da lui provata in quel momento solenne e sarà bene che lo lasciamo raccontare: "Quanto tutta l'anima mia fu scossa da quelle semplici e vivaci parole dell'artigiano! "Come!", pensai, "costui mi conosce e sa quello che si agita in me?" Tendevo a crederlo. Ormai il dado è tratto, dissi fra me medesimo, accada quel che accada, confido in Cristo e mi do a Lui per la vita e per la morte! Non ricordo che cosa il predicatore continuò a dire, veramente non gli prestai più attenzione, assorto com'ero in quest'unico pensiero: Guardare a Gesù! Avevo intuito che questa doveva essere la vera, la sola vera via della salvezza e che gioia provai! Mi sentii sollevato dal peso dei miei peccati e come facilmente compresi che Gesù aveva preso su di sé i peccati di tutti coloro che credono in Lui. Dalla grazia di Dio fui reso capace di guardare a Gesù. Ed io, che qualche minuto prima ero abbattuto, disorientato e quasi disperato, io, che avrei preferito morire anziché continuare a vivere una vita di rimorsi e di sofferenze qual era quella che da parecchio tempo conducevo, provai a un tratto come se il paradiso fosse calato dal cielo nella mia coscienza. Non staccai mai più lo sguardo da Gesù. Uno sguardo mi salvò, ed io non ho cessato di guardare e in cielo guarderò ancora, pieno di gioia indicibile! Io, che fino ad allora pensavo che, per salvarmi, avrei dovuto fare chissà che cosa, avevo scoperto che basta guardare a Cristo. Io, che credevo di dovermi tessere faticosamente una veste, per nascondere agli occhi di Dio le sozzure dell'anima mia, avevo compreso che Gesù, in cambio di un solo sguardo, mi aveva coperto di un manto regale! Tornai a casa tutto felice. I parenti, notando il mutamento avvenuto in me, mi domandarono il perchè della mia gran gioia. Risposi che avevo creduto nel Cristo e che sta scritto: "Non v'è alcuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù". Com'è facile immaginare, il dolce ricordo di quel giorno non si cancellò più dall'animo di Carlo Haddon Spurgeon e le parole dell'artigiano di Colchester, il quale aveva preso il posto del pastore in una mattinata di neve, riecheggiarono poi più e più volte nei sermoni e negli scritti eloquenti del grande predicatore. A Londra, Carlo Spurgeon, alcuni anni dopo gli avvenimenti narrati, proferì un discorso, il quale non solamente porta per titolo "Riguardate a Gesù", ma sembra né più né meno che la riproduzione, accresciuta, se si vuole, corretta e potente, del sermonuccio di colui che, in mano del Signore, era stato lo strumento benedetto della sua conversione. Il discorso si divide in sei punti: 1.
Guardate a Gesù nella sua vita terrena; In un altro sermone narra la storia della sua conversione e conclude esclamando: "Oh, se sapessi che qualcosa di simile avverrà oggi in qualcuna delle anime che mi stanno dinanzi! Ascoltami, o peccatore. Forse tu non avevi da vent'anni varcata la soglia d'un luogo di culto ma eccoti oggi qui nel cospetto di Dio, con addosso i più ributtanti peccati e le più vergognose iniquità. Ascolta il messaggio che ti reco, o peccatore: Dio ti concede la sua grazia piena ed intera e il suo perdono gratuito; te li concede per amore di Gesù. Oh credi dunque, povera anima; credi nel Signor Gesù e sarai salvata!"
Nello stesso modo termina un altro discorso pronunziato dinanzi ad
un'assemblea di dodicimila persone, dicendo: "Sì, peccatore: guardare
a Gesù, ecco la salvezza. Per esser salvato, tu non devi fare altro,
o peccatore, se non guardare alla croce. Fratello mio, guarda a Gesù.
Gesù solo può giovare ai peccatori. Guarda a Lui con l'ingenuità del
bambino.
In uno dei suoi libri di meditazioni per ogni giorno dell'anno scrive:
"Gesù è appeso alla croce dinanzi a noi. Uno sguardo gettato su Lui
ci guarirà dai morsi velenosi del peccato. In un altro libro "Tutto per grazia" si esprime così: "Non avrei mai potuto da me stesso vincere il peccato. Tutti i miei sforzi erano vani. L'inclinazione al male era troppo forte in me, perché la potessi frenare, ma, confidando nel Cristo morto per me, rimisi nelle mani di Lui l'anima mia colpevole e allora ricevetti una forza vittoriosa con la quale mi fu possibile sottomettere la mia natura peccaminosa".
L'11 Ottobre 1864, Spurgeon, recatosi a Colchester, predicò nella
medesima chiesa, là nello spiazzale in fondo al vicolo oscuro, dove
quasi quindici anni prima, l'anima sua aveva scoperto la via della
pace e svolse il medesimo testo scelto dall'artigiano: "Riguardate
a me, voi tutti i termini della terra e siate salvati". Tra l'altro
disse: "Mi ricorderò sempre con gratitudine che qui, in questo medesimo
luogo di culto, udendo parlare intorno a questo testo, fui condotto
alla conversione. Ero seduto lì (e indicava un banco a sinistra) quando
lo Spirito di Dio fece di me un uomo nuovo". "Felice ogni ora felice" e parlando per esperienza personale è in grado di dare preziosi consigli e ai molti che con questa preziosa opera lo lasceranno parlare alle anime loro. Intanto ascoltiamo queste belle parole: "Per me la morte del mio Salvatore è tutto: potrei vivere e morire contemplandola. Essa mi rimescola il sangue, mi strappa le lacrime dagli occhi, m'intenerisce le più nascoste fibre del cuore. Non consiglierei mai ad un'anima, che bramasse d'esser liberata dai peccati, di starsene continuamente assorta nel meditare sulla punizione che si è meritata. Provi invece a sedersi ai piedi della croce e attinga nella contemplazione del sacrificio che il Cristo ha compiuto per essa il pentimento richiesto dall'Evangelo. Per opporre un argine efficace alla corrente del peccato che ci trascina con sé, conviene aver sempre presente questo pensiero: Gesù è vissuto ed è morto per me". Non devi cercare prima di curarti da solo per poi ricorrere al Medico divino: no, ma va' a Lui, così qual sei. La sola probabilità di salvezza che tu possiedi sta nel confidare semplicemente ed unicamente in Cristo. Le buone opere verranno in seguito: esse sono i frutti dello Spirito, frutti dell' "ultima stagione" per dir così, ma per ora la tua opera non deve consistere nel fare, bensì nel credere. Guarda dunque a Gesù e abbandonati solamente in Lui".
(Sermone tratto dal sito Cristiani Evangelici, pubblicato con permesso)
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