Testimonianza
di Joni Eareckson Tada
tratta
dal sito www.jafitalia.org
(sito dell'associazione a favore dei disabili di Joni Eareckson)
Per anni
ho pensato: "Gli incidenti capitano solo agli altri. Non si vedrà
mai una sedia a rotelle in casa mia". Non che volessi essere "snob",
stavo semplicemente vivendo quella realtà. La mia, era quel genere di famiglia
sempre pronta a fare una partita a tennis o a prepararsi per una gita in campagna.
In effetti, io e le mie tre sorelle più grandi, non ci eravamo mai slogate
nemmeno una caviglia. Tutto ciò cambiò in un caldo pomeriggio di luglio
del 1967, quando mia sorella Kathy ed io andammo alla spiaggia di Chesapeake Bay
a fare una nuotata. L'acqua era scura e densa e non mi curai di controllarne
la profondità prima di salire su una zattera ancorata al largo. Appoggiai
i piedi sul bordo, respirai profondamente e mi tuffai. La mia testa urtò
contro qualcosa di duro ed indietreggio con uno strattone.
Provai una strana scossa alla nuca. Sott'acqua, intontita, mi sentii galleggiare
trascinata dalla corrente, incapace di risalire in superficie. I miei polmoni
sembravano scoppiare, ma quando fui sul punto di aprire istintivamente la bocca
per respirare, sentii le braccia di mia sorella attorno a me, che mi sollevarono
verso l'alto. "Kathy farfugliai vedendo il mio braccio senza
vita sulle spalle ho perduto la sensibilità". Un bagnante si
precipitò in acqua per portarci la sua zattera. Qualcun altro chiamo un'ambulanza.
Un'ora dopo, nella sala del Pronto Soccorso dell'ospedale, le infermiere
tagliarono il mio costume da bagno e mi tolsero anche la collana e gli anelli.
Mi girava la testa e cominciai a perdere coscienza, quando sentii il ronzio di
un trapano vicino al mio capo. L'incidente causato dal tuffo mi fece precipitare
in un mondo strano e spaventoso di odori, antisettici, tubi e macchine. Per mesi
stetti sdraiata su una struttura chiamata "Stryker", fatta come un lungo
sandwich di tela, sulla quale rimanevo a faccia in su per alcune ore e, poi venivo
rigirata per evitare che si formassero delle piaghe, che vennero comunque. Persi
così tanto peso, durante quei primi mesi, che le ossa cominciarono a spuntare
fuori dalla pelle. Di conseguenza fui operata di nuovo e passai altri mesi sullo
"Stryker". Sprofondai in una profonda depressione. "Come hai potuto
lasciare che tutto questo succedesse a me, Dio?" chiesi. "Ero
già cristiana prima dell'incidente e se questa è la risposta
alla mia richiesta di camminare più vicino a te, non mi fiderò più
di pregare!" Ero ignara del fatto che i miei amici pregavano per me 24 ore
su 24. Lentamente, mentre passavano le settimane, cominciai a sentire un cambiamento.
Poco alla volta la mia rabbia diminuì. La depressione cominciava a svanire.
Senza che me ne rendessi conto, Dio stava abbattendo ogni mia resistenza attraverso
la potenza e l'insistenza della preghiera. Notai il cambiamento durante la
terapia di rieducazione. Alcune settimane prima avevo rifiutato ostinatamente
di imparare a scrivere tenendo una matita fra i denti. Ma quello avvenne prima
che incontrassi Tom, un giovane tetraplegico dipendente da un ventilatore d'ossigeno,
il quale era molto più paralizzato di me. Egli aveva un atteggiamento allegro
ed ottimista mentre, con buona volontà, permetteva alla terapista di inserire
la penna nella sua bocca. Mi vergognai delle mie lamentele. Tramite le preghiere
dei miei amici e l'esempio di Tom, Dio mi stava mostrando una verità:
"Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio"
(Romani 8:28). Forse, nel bene che Dio intendeva per me, non era compresa la guarigione
fisica, ma il Suo bene mi avrebbe insegnato ad avere un atteggiamento più
flessibile, apprezzamento per le piccole cose, una più profonda gratitudine
per le amicizie ed un carattere che avrebbe dimostrato pazienza, tolleranza e
gioia che non dipendono dalle circostanze.
Oggi, nonostante
i molti anni trascorsi da quel lontano 1967, ripeterei le stesse parole.
Non è stato
facile, ma la potenza e la forza di Dio continuano a risplendere. D'altronde,
Egli sa perfettamente come mi sento. Anche Lui ha sofferto. Siccome Gesù
poté trasformare la Sua croce in un simbolo di speranza e libertà,
posso io fare di meno? La mia sedia a rotelle è la prigione che Dio ha
adoperato per liberare il mio spirito.