Il
Consiglio Di Acan
di
Joni Eareckson Tada - dal suo libro "Intromissione
Divina" ed. Adi-media
Pensa
a qualcuno che oggi vorresti poter aiutare. Un caro amico cristiano, forse, o
un familiare che vive lontano. Vorresti poter superare quella distanza con la
forza di un dono avvolto nella luce dell'incoraggiamento. Vorresti fortemente
infondere in loro il desiderio di camminare rettamente e di stare vicini al Signore.
Sì, puoi pregare. Fallo. Puoi anche prendere il telefono o scrivere due
righe. Ma c'è qualcos'altro. Qualcosa che forse non hai considerato. Qualcosa
di misterioso e potente.
Ha a che fare con una storia poco nota di un uomo di nome Acan.
In Giosuè 7 leggiamo delle straordinarie vittorie che Giosuè e il
suo esercito ottennero nel Signore e per il Suo popolo. Ma Dio stabilì
dei ferrei princìpi guida per queste conquiste.
Dopo la battaglia di Gerico, ad esempio, Dio specificò che tutto il bottino
- oro, argento, rame o bronzo - avrebbe dovuto andare direttamente nel tesoro
del Signore. Nessuno doveva riempirsi le tasche con il bottino di Gerico; queste
cose dovevano essere consacrate a Dio e custodite nel Suo santuario.
Ma Acan ebbe un'idea diversa. Prese alcuni degli oggetti preziosi, in vista del
suo futuro pensionamento, senza dirlo a nessuno, se non alla sua famiglia. Pensava
di andarsene con qualcosa in tasca, ma non aveva fatto i conti con Dio. Non considerò
il Suo onnisciente e onniveggente Signore.
Dio conosceva ogni cosa. Giosuè 7:1 ci dice: "L'ira dell'Eterno si
accese contro Israele" - contro tutta la nazione! Infatti, la battaglia
seguente condotta da Giosuè fu un vero e proprio disastro. Gli Israeliti
furono battuti ed umiliati da un esercito di poco conto. E quella sera gli Israeliti
stettero increduli davanti a trentasei tombe nuove. Trentasei figli e mariti che
non erano tornati alle proprie tende... e che non vi avrebbero più fatto
ritorno.
Non era lo stesso esercito che aveva sconfitto Gerico in modo così eclatante?
Cosa era andato storto? Perché Dio aveva ritirato la Sua benedizione in
un momento così critico?
Il generale Giosuè era fuori di sé. Si stracciò le vesti
e si gettò letteralmente con il viso a terra davanti all'arca di Dio.
Consideriamo insieme le meravigliose parole del Signore al Suo servo:
"Alzati!
Perché ti sei così prostrato con la faccia a terra? Israele ha peccato...
essi hanno trasgredito il mio patto... Hanno preso dell'interdetto; l'hanno perfino
rubato; hanno perfino mentito; e l'hanno messo fra i loro bagagli. Perciò
i figliuoli di Israele non potranno stare a fronte dei loro nemici e volteranno
le spalle davanti a loro, perché sono diventati essi stessi interdetto"
(Giosuè 7:10-12).
Allora
Giosuè immaginò quello che Acan aveva fatto. Fu a causa dell'avidità
e della disubbidienza di quest'uomo che l'ira di Dio si accese contro tutto il
popolo.
Nell'episodio biblico ci viene poi detto come Giosuè e Israele si comportarono
con Acan, ma la verità centrale di questo capitolo è quella di farci
notare come il peccato di una sola persona si ripercosse su tutto il popolo.
E' una lezione, per tanti versi, valida ancora oggi. Possiamo nascondere i nostri
piccoli peccati dalla vista degli altri. Potremmo abilmente mascherare il fatto
che stiamo usando delle persone. Potremmo accusare gli altri alle loro spalle.
Potremmo nascondere delle fantasie personali che disonorano Dio e che Gli dispiacciono.
Se Acan potesse parlare oggi ci avvertirebbe che i nostri peccati ci ritroveranno
sempre. La nostra disubbidienza può - e lo fa - ripercuotersi sul resto
del corpo di Cristo. Quando inciampiamo e cadiamo nel peccato, prepariamo la strada
ad altri per fare altrettanto. Come nell'accampamento di Israele, Dio opera ancora
nella Sua chiesa, e non possiamo pensare di potercene andare con i nostri "peccatucci",
senza che essi influenzino i nostri fratelli.
La lettera agli Efesini ci dice chiaramente che dobbiamo aver cura degli altri
cristiani, perché siamo uno con loro. Ai credenti non viene mai detto di
diventare uno, siamo già uno e dobbiamo comportarci di conseguenza. Paolo
espone questo concetto anche nella prima lettera ai Corinzi. Al capitolo 12 dice
che, considerati nel loro insieme, i cristiani sono un corpo, del quale Cristo
è il Capo.
Il corpo umano è probabilmente il più sorprendente esempio di lavoro
d'insieme. Ogni parte ha bisogno delle altre. Quando lo stomaco avverte la fame,
l'occhio vede l'hamburger, vero? Il naso sente l'odore delle cipolle, i piedi
si dirigono al chiosco, le mani cospargono l'hamburger di mostarda e lo mettono
in bocca, da dove va nello stomaco. Questa sì che è cooperazione!
Possiamo quindi capire perché brani come Efesini capitolo 4 ci dicano che
noi cristiani influenziamo gli altri spiritualmente in base a ciò che siamo
individualmente.
"Seguitando
verità in carità cresciamo in ogni cosa verso Colui che è
il capo, cioè Cristo. Da Lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso
mediante l'aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella
misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell'amore. Questo
dunque io dico e attesto nel Signore, che non vi conduciate più come si
conducono i pagani nella vanità dei loro pensieri... perché siamo
membra gli uni degli altri" (vv. 15-17,25).
Nessun
organo del corpo può fare qualcosa senza influenzare gli altri. Le mani
che eseguono il passaggio vincente in una partita di basket portano onore a tutto
il corpo, ma un alluce slogato può immobilizzarlo.
C'è un qualcosa quasi di mistico nell'intricato ed intimo vincolo che lega
noi credenti.
Se ci importa di Cristo, il Capo del Corpo, se ci importa del resto del corpo
- delle nostre mogli, mariti, figli o vicini - dobbiamo affrontare le sfide e
tentazioni giornaliere avendo loro bene in mente.
Quindi, cosa puoi fare oggi di bello per un tuo fratello in fede? In un modo misterioso,
puoi aiutarlo nel suo pellegrinaggio spirituale. Semplicemente ubbidendo. Ubbidendo
a Dio in tutte le piccole lotte e prove che questo giorno può portare.
L'ubbidienza può sembrare una decisione privata e personale, che interessa
solo te. Acan la pensava così ma, pur essendo morto, parla ancora.
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