Le Crociate
Alla fine del XI secolo non c'è la "crociata" ma ci sono i "crociati" - vale a dire i cruce signati, i pellegrini diretti a Gerusalemme che in segno di tale pellegrinaggio recano cucita o ricamata sulla spalla o sul petto oppure sulla bisaccia una piccola croce (come quelli che vanno a Santiago de Compostela portano la conchiglia). Alla fine dell'XI secolo, al concilio di Clermont Ferrand del 1095, papa Urbano II indicò all'inquieto ceto cavalleresco francese - esausto per le continue guerre al suo interno - un nuovo scopo: partano i cavalieri desiderosi di onore e di bottino verso Oriente, sulla via del pellegrinaggio, perché l'imperatore di Bisanzio ha bisogno di valorosi guerrieri per fronteggiare l'avanzata dei turchi in Anatolia. Ma in quel crepuscolo di secolo era giunta in Europa la notizia che i turchi selgiuchidi avevano occupato anche Gerusalemme sovrapponendosi al più mite occupante arabo. Essendo molto più brutali dei loro predecessori, sottoponevano i pellegrini europei a dure persecuzioni - molestie, furti, uccisioni, e devastazione dei luoghi oggetto della loro venerazione. Inermi o seminermi
pellegrini seguirono i cavalieri: l'iter dei milites e la peregrinatio dei pauperes
ora coincidevano. Nacque, quasi improvvisamente, la Crociata. Con le Crociate nasceva a poco a poco un nuovo modo di essere "guerriero di Cristo": fino ad allora, tale espressione era stata usata in modo simbolico per i martiri, vittime delle persecuzioni; ora la si impiegava a indicare quei cavalieri che sceglievano di porre la loro forza al servizio della chiesa cattolica romana. La nuova etica cavalleresca di lotta per la giustizia nacque come etica penitenziale proposta a un ceto di combattenti professionisti per i quali la lotta e il rischio della vita divenivano, ora, opere meritorie, mezzo di salvezza spirituale: e in questo è già in luce l'essenza dello spirito di crociata. Il monaco Pietro l'Eremita fu il grande divulgatore della Crociata tra le popolazioni. Un entusiasmo incredibile pervase le masse per accorrere in Palestina e strappare ai musulmani il dominio della Terra Santa e vendicare gli oltraggi e le ingiurie sofferte dai pellegrini. Una folla di nobili e popolani (circa 300.000 persone) partì per la Palestina nel mese di agosto 1097 sotto la guida di Goffredo di Buglione, duca di Lorena. Ebbe così inizio la prima Crociata (1097-1099). Raggiunta Costantinopoli, iniziarono duri combattimenti con i turchi in Asia Minore. Dopo aver riportato vittorie su di essi, il 15 luglio 1099 presero d'assalto Gerusalemme e liberarono il Santo Sepolcro. Ma a quale prezzo! I crociati si abbandonarono ad ogni crudeltà, non risparmiando né il sesso, né l'età, né gli stessi giudei. Goffredo di Buglione assunse il titolo di "difensore e protettore del Santo Sepolcro", e suo fratello, più tardi, ebbe il titolo di "re di Gerusalemme". Ma la situazione della Palestina rimaneva precaria, per cui furono necessarie altre sette Crociate, che si succedettero nel corso di due secoli, senza che alla fine Gerusalemme sia stata definitivamente tolta ai turchi. I Papi, in seguito, cercarono di indurre i Principi ad organizzare altre Crociate, ma inutilmente. Agli inizi il successo delle Crociate contribuì a rafforzare l'autorità papale, ma in seguito agli scacchi subiti, essa ne uscì ridimensionata. Federico II, imperatore del Sacro Romano Impero, definirà significativamente i papi come "lupi travestiti da agnelli". Le Crociate infatti non furono imprese missionarie, ma piuttosto pellegrinaggi militari; furono manifestazioni di uno «zelo senza conoscenza», direbbe Paolo apostolo (Rm. 10:2), perché male illuminato e contrario allo spirito del Vangelo e ad ogni insegnamento di Cristo.
Promettendo ai partecipanti indulgenze ecclesiastiche ed esenzione dalle imposte, papa Urbano II aveva dato ai crociati due mete che sarebbero rimaste prioritarie per secoli, nelle Crociate orientali. La prima era liberare i cristiani dell'Est. Così ebbe a scrivere il suo successore, Papa Innocenzo III:
"Fare una crociata", ha detto il professor Jonathan Riley-Smith, "era vissuto come un atto di amore". In questo caso, apparentemente, l'amore del proprio prossimo. I Papi equipararono la partecipazione alle Crociate all'offrire aiuto a Cristo stesso (nell'indire la quinta Crociata, nel 1215, Innocenzo III scrisse: "Cristo non vi condannerà per il vizio dell'ingratitudine ed il crimine dell'infedeltà, se voi rifiutate di aiutarLo?"). L'indulgenza ricevuta per la partecipazione alle Crociate fu equiparata canonicamente all'indulgenza per il pellegrinaggio.
Ma cosa avevano di cristiano le Crociate? Uccidere il proprio nemico per liberare un fratello prigioniero è un insegnamento di Cristo? Il Signore Gesù Cristo ha detto molto chiaramente:
E ancora:
L'insegnamento apostolico, cui i papi avrebbero dovuto rifarsi se realmente fossero dottori della chiesa, è:
Se fosse giustificabile
la violenza "cristiana" a scopo difensivo e "per amore del prossimo",
cosa dovremmo dire dei milioni di cristiani perseguitati ai giorni nostri nel
mondo (si veda qui)? Essi, che come i primi
cristiani conoscono l'oppressione, il martirio, l'ingiustizia, sofferenze di ogni
genere solo perché cristiani, come reagiscono? Pregando per i loro persecutori,
parlandogli dell'amore del loro Salvatore anche quando stanno per essere giustiziati,
così come Gesù mentre era inchiodato sulla croce chiedeva al Padre
il perdono per i suoi carnefici. Gesù è l'esempio che dobbiamo seguire,
non gli uomini. I
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