Il cammino cristiano




La teoria dell'evoluzione: vera o falsa?

a cura di D.R. Finley

 

« Questa situazione in cui degli uomini si uniscono per difendere una dottrina che essi non sono capaci di definire scientificamente e ancor meno di dimostrare con tutto il rigore scientifico, ma che essi cercano di accreditare presso il pubblico sopprimendo le critiche ed eliminando le difficoltà, questa situazione nella scienza è anormale e sgradita. ...
Il successo del darwinismo ha avuto come corollario un declino della probità scientifica ».

(dalla prefazione dell'edizione del centenario de "L'origine della specie" di Darwin; a cura del dr. W.R. Thompson, entomologo di fama mondiale e direttore del Commonwelth Institute of Biological Control di Ottawa)

 

Nella società globale in cui viviamo l'evoluzione naturalistica è considerata essere il meccanismo grazie al quale è nata la vita complessa. Nell'immaginario collettivo, il fatto di credere nell'evoluzione è associato a un approccio scientifico alla conoscenza, mentre il dubitare dell'evoluzione viene considerato come il risultato di superstizione o di ignoranza da parte delle persone.


Inclinazioni filosofiche

Sebbene questo articolo non riguardi principalmente la religione, devo iniziare con una breve discussione delle questioni religiose, dal momento che esse sono socialmente interconnesse con il soggetto dell'evoluzione (chi non fosse interessato a questa sezione può saltare subito al paragrafo successivo).

Le mie esperienze nella vita mi hanno convinto che virtualmente tutti, indipendentemente dalla propria intelligenza, hanno pregiudizi o inclinazioni filosofiche o religiose più o meno marcate in favore di una specifica visione dello scopo della vita. Quei pochissimi che non hanno tali inclinazioni sono generalmente indifferenti; non tendono a diventare scienziati evoluzionisti, a motivo della loro mancanza di interesse nelle domande cruciali relative agli eventi storici.

Un'inclinazioni d'ordine filosofica non è necessariamente sbagliata. Ovviamente, una persona ha l'inclinazione a pensare che una data cosa è vera, e un'altra persona è convinta che quella cosa è falsa, non possono sbagliarsi entrambi! Un'inclinazione può essere basata su un sentimento o un'emozione, ma può ugualmente essere nel giusto.

Né si può dire che un'inclinazione sia necessariamente anti-scientifica. Alcune inclinazioni riguardano soggetti che la scienza attualmente non è in grado di esplorare, e a volte le persone sono disposte ad abbandonare un'inclinazione se delle forti prove empiriche la rendono non credibile.

La mia inclinazione filosofica - quella che è rilevante nel campo dell'evoluzione - è che un Essere onnipotente che chiamiamo Dio ha deliberatamente creato l'universo e noi esseri umani che lo abitiamo - particolarmente, Egli ha creato l'universo con lo scopo di farlo abitare da noi. Dal momento che un Essere onnipotente può fare qualunque cosa, questo lascerebbe aperti molti scenari concepibili riguardo all'esatto processo mediante il quale Dio ci ha creati. L'evidenza empirica, comunque, restringe queste possibilità a pochissimi scenari o anche a un solo scenario.


Problemi empirici

Prima di analizzare alcuni dei problemi empirici dell'evoluzione, vanno fatte due osservazioni sulla natura delle teorie scientifiche e della loro prova empirica.

1. Tutte le teorie funzionano sulla carta. Qualunque teoria scientifica può essere descritta in modo da farla apparire esatta, anche in modo indiscutibile. Il motivo per cui è necessario un test empirico è che sulla carta si possono fare tutte le supposizioni che si vogliono per far apparire valida una teoria. Spesso, queste supposizioni si dimostrano false quando la situazione empirica viene valutata.

2. Le prove negative sono più importanti delle prove positive. Le prove positive (cioè, a supporto della teoria) possono sempre essere trovate. Di solito, è proprio per questo motivo che una teoria viene formulata inizialmente: sembra esserci qualche prova che la supporta. Se molti esempi di prove a suo sostegno vengono trovate, ma si riscontrano solo poche prove negative, sembra che quelle positive annullino quelle negative. Ma l'evidenza empirica non si valuta in questo modo. Una sola forte prova negativa può essere sufficiente a distruggere una teoria. Le teorie sono confermate principalmente non a motivo delle prove positive, ma dalla mancanza di prove negative convincenti.

Vorrei ora menzionare tre problemi basilari con l'evoluzione:


Tempo disponibile

Sulla carta, la teoria dell'evoluzione può assumere che sia stata necessaria qualunque quantità di tempo perché le forme di vita oggi esistenti si siano formate. Gli evoluzionisti sostengono che la Terra è stata adatta allo sviluppo - per non parlare della nascita - della vita per circa 4 miliardi di anni. Può sembrare un'eternità, finché non si inizia a considerare cosa sarebbe dovuto accadere nel tempo secondo la loro teoria. Il solo DNA umano (ignorando le altre strutture complesse della cellula) consiste di circa 3 miliardi di nucleotidi di istruzioni genetiche. Questo significa che secondo la teoria dell'evoluzione, esse devono essersi evolute a un tasso medio di circa 0,75 nucleotidi all'anno (non per generazione). Se questo tasso non fosse stato costante, ci dovrebbero essere periodi in cui esso era ancora più veloce.

Si insegna che l'evoluzione naturalistica è avvenuta nel modo seguente: periodicamente si forma un singolo organismo nel quale avviene una mutazione genetica, un errore, nel suo DNA. Probabilmente, questo errore sarà neutrale o detrimentale, ma è concepibile che possa accadere che un rarissimo errore possa anche essere leggermente benefico sotto qualche aspetto. Così, questa singola creatura ha una possibilità di sopravvivere e di procreare leggermente maggiore dei suoi simili. Se questo individuo sopravvive e procrea (se, ad esempio, non viene divorato da altri durante la sua infanzia), allora dopo molte (centinaia?) di generazioni, quel leggerissimo vantaggio derivato dalla mutazione genetica, può lentamente diffondersi nella popolazione finché non diventa definitivamente parte delle specie.

Domandiamoci: è anche solo lontanamente concepibile che il processo naturalistico immaginato sopra possa supportare un tasso di 0,75 nucleotidi all'anno? No. Trilioni o quatrilioni di anni potrebbero forse risolvere quest'anomalia, ma si tratta di periodi enormemente maggiori dei 4 o 5 miliardi di anni della teoria dell'evoluzione. L'evoluzione dunque fallisce in questo test.

Esistono molti sottoesempi. La balena, che secondo l'evoluzione è apparsa 10 milioni di anni dopo il primo mammifero, probabilmente ha milioni di nucleotidi di DNA che non hanno niente a che fare con l'essere un mammifero terrestre, e per acquisirli sarebbero stati necessari tassi di evoluzione naturalistica impossibili per il tempo che era disponibile.

Certamente i calcoli che abbiamo fatto sono approssimativi. Comunque, servono allo scopo di mettere in risalto alcuni dei problemi di fondo dell'evoluzione. Sta agli evoluzionisti presentare una dimostrazione empirica e matematica che provi che l'evoluzione può essere avvenuta nel tempo disponibile; fino ad oggi, non mi è mai stata presentata alcuna prova simile.


I fossili

L'evoluzione implica che le testimonianze fossili debbano mostrare un campione di creature che lentamente, in modo crescente, si sia trasformato in creature più sofisticate, giungendo infine agli organismi viventi che abbiamo oggi sulla Terra. Si può presumere che si riscontreranno dei vuoti nelle testimonianze fossili, ma se un gran numero di fossili è stato depositato, dovremmo poter riscontrare in essi l'andamento generale implicato dalla teoria.

Invece, le testimonianze fossili mostrano qualcosa di molto diverso. La vita monocellulare è apparsa quasi immediatamente. Nessun organismo multicellulare è esistito fino a tempi relativamente recenti, in cui numerose piante e specie animali complesse sono apparse simultaneamente, per poi rimanere inalterate per lunghissimi periodi di tempo, e infine ciascuno di essi si è estinto o è sopravvissuto fino ai giorni nostri. Numerosi altri gruppi di nuove specie sono apparse più recentemente, di cui la più recente è quella umana.

E' sempre possibile presentare pochi inusuali frammenti fossili in modo tale da supportare l'evoluzione, ma non è possibile riconciliare il quadro generale delle testimonianze fossili con le predizioni evoluzionistiche. Per confermare l'evoluzione sono necessarie lunghe transizioni incrementali, non improvvise e inesplicabili apparizioni seguite da stasi ben documentate.


Dipendenza dalle parti collegate

Sulla carta, la teoria dell'evoluzione assume che la "funzione benefica" di un sistema complesso possa essere lentamente accumulata, così come si accumulano le "parti" di un sistema. Questo concetto è vitale, dato che perché possa comparire un sistema complesso mediante la selezione naturale, le parti accumulate del sistema devono provvedere un beneficio che la selezione naturale può selezionare.

Gli studi empirici di biologia mostrano che tutte le forme di vita, dai più semplici microbi fino agli umani, sono pieni di sistemi complessi che non appaiono sottostare a questo requisito evoluzionistico. Anziché un percorso fluido dalla non-esistenza allo stato moderno, la maggior parte dei sistemi biologici mostrano ciò che potremmo descrivere come una "vetta di beneficio", che non può essersi avuta grazie a delle mutazioni casuali.

Per illustrare questo fatto con un esempio, consideriamo un'automobile. Molte parti dell'automobile danno un beneficio, ma non sono strettamente indispensabili. E' più sicuro guidare con uno specchietto retrovisore, ma possiamo anche guidare facendone a meno. E' confortevole e divertente avere l'aria condizionata e uno stereo in auto, ma possiamo anche guidare da una città a un'altra senza possederli.

Supponiamo di rimuovere questi optional, lasciando nell'automobile solo quei componenti assolutamente indispensabili per poter guidare da un punto A a un punto B, a un livello di utilità superiore però a quello di una bicicletta. L'automobile sarebbe ancora molto complessa. Un gran numero di parti critiche (in particolare quelle del motore) non potrebbero essere tolte.

Il problema ovvio è che la selezione naturale non inizia neanche a selezionare fintanto che non si raggiunge una quantità piuttosto grande di funzionalità complesse. Ma se non è stata la selezione naturale a creare la complessità, allora che cosa?

La maggior parte degli evoluzionisti oggi sono consapevoli di questo problema, ma insistono sul dire che il percorso incrementale richiesto dall'evoluzione esiste; solo che "non è stato ancora scoperto". Naturalmente, qualunque falsa teoria potrebbe essere difesa in questo modo: "E' solo che sembra falso; le prove della sua correttezza non sono ancora state trovate".

E' concepibile che una parte neutrale dal punto di vista del beneficio possa comparire, e restare finché - grazie a delle casualità incredibilmente spettacolari - altre parti compaiano e cooperino con la prima. Ma in tal caso dovremmo aspettarci di vedere la maggior parte delle forme di vita piene di parti inutilizzate che "un giorno" potrebbero costituire dei benefici in combinazione con parti non ancora esistenti. Noi non osserviamo niente del genere. Diverse funzioni apparentemente inutili (come l'appendice umana, la tiroide e le tonsille) sono state ritenute tali per anni fino alla prova contraria, e comunque costituirebbero delle rare eccezioni, non la regola generale.

Il problema delle parti collegate è specialmente problematico per il concetto di evoluzione, perché mentre problemi come quelli del tempo disponibile e dei fossili indicano semplicemente che l'evoluzione non è avvenuta qui sulla Terra, il problema delle parti collegate indica che essa non può avvenire affatto.


Conclusione

Dati i tre seri fallimenti empirici della teoria dell'evoluzione, ciascuno dei quali dovrebbe portare a dubitare seriamente di tale teoria, se non a considerarla una deliberata falsificazione, concludo razionalmente che l'evoluzione è falsa, e che, a rigor di logica, l'unico altro scenario probabile è che Dio ha creato la vita sulla Terra in una serie di momenti diversi, così come è riportato nella Genesi.




Teorie evoluzionistiche: commenti di Giuseppe Sermonti, professore ordinario di genetica

(da Il Domenicale, anno 2 n. 40 del 4/10/03)


La principale difficoltà che si incontra opponendosi alle teorie evoluzioniste, e in particolare al neo-darwinismo, è la loro scoraggiante banalità. Qualunque teoria che proponga il Caso come generatore di tutti i viventi (la Selezione Naturale non aggiunge nulla al caso) è semplicemente ridicola e, in termini statistici, assolutamente "impossibile". C'è solo da chiedersi come una tale teoria abbia potuto sostenersi per un secolo e mezzo, ritrovando vigore dopo ogni guerra vinta dai conterranei di Darwin. Si attaglia alla situazione un pensiero di John Stuart Mill: «Appare spesso che un convincimento, universale durante un'epoca... in un'epoca successiva diventi un'assurdità così palpabile che l'unica difficoltà è quella di cercare di capire come mai una simile idea possa essere apparsa credibile».

Un'altra difficoltà nel discutere di evoluzione sta nel capire di che cosa si sta parlando. È ben noto che nelle prime edizioni dell' Origine delle Specie, Darwin non usò mai il termine "evoluzione", mentre usò quello di "creazione" o di "origine". La semplice ragione era che per "evoluzione" s'intendeva, alla metà dell'Ottocento, lo svolgimento di un programma, e il centro del pensiero di Darwin, e dei suoi epigoni, era che la Natura non avesse programmi o progetti, e le specie si trasformassero senza alcuna predeterminazione o prospettiva: per l'appunto, a caso. Se vogliamo trovare una definizione di Evoluzione, dobbiamo ricorrere ai vocabolari letterari, dove si leggono frasi come questa: «Un processo di cambiamento continuo da una condizione inferiore, più semplice o peggiore ad uno stato superiore, più complesso o migliore» (Webster). Se cerchiamo una definizione di Evoluzione in un testo scientifico, si parla di tutt'altro. Helena Curtis, nel glossario della sua rinomata "Biologia", definisce così l'evoluzione: «Processo che da una popolazione, in conseguenza di produzione di variazione genetica e dell'emergenza delle varianti per opera della selezione naturale, ne fa discendere un'altra con caratteristiche diverse». Che quest'altra popolazione sia superiore, più complessa o migliore, non importa; è sufficiente che sia variata, fosse anche inferiore, più semplice o peggiore. È giusto che il pubblico sappia che quando gli scienziati, e segnatamente i biologi molecolari, parlano di evoluzione, stanno discorrendo d'altro. Di qualcosa che non ha nulla a che fare con il concetto comune di evoluzione e poco persino con Darwin.


Un'impossibilità matematica

L'affermarsi della evoluzione molecolare ha segnato l'"eclissi" degli organismi. Abbandonate le forme viventi, i biologi sono rimasti affascinati da codici e testi genetici, perdendo di vista gli organismi e dandosi questa regola: «Solo nel DNA, tutto nel DNA, nient'altro che nel DNA». Si sono presi cura delle vicende molecolari delle specie, preferendo ignorare che queste poco o nulla avessero a che fare con la storia della loro morfologia. Aveva scritto - con rispettabile franchezza - il grande biologo molecolare R.E.

Dickerson nel 1972: «Quanto più ci si avvicina al livello molecolare negli organismi viventi, più simili questi appaiono e meno importanti divengono le differenze tra, per esempio, una mosca e un cavallo». E François Jacob, nel 1977: «Non sono le novità biochimiche che hanno generato la diversificazione degli organismi ... ». Precisa poi che non è la differenza nei costituenti chimici «ciò che distingue una farfalla da un leone, una gallina da una mosca o un verme da una balena». Ciò non toglie che gli evoluzionisti sono oggi quasi esclusivamente bio-molecolari, si occupano di organismi astratti e volentieri lavorano su organismi virtuali residenti nei personal computer (come il famoso Richard Dawkins).

Daniel Raffard de Brienne, nella sua opera sulla fine dell'Evoluzione, si occupa dell'evoluzione come la intende il pubblico e come la si intendeva anche negli ambienti scientifici, fino all'inizio del Novecento. Ci risparmia le molecole, la cui "evoluzione" non può, nella definizione della Curtis, essere contraddetta, e affronta i problemi mai risolti dell'origine della vita, delle specie, dell'uomo. L'origine della vita dalla non-vita per un accidente occorso miliardi di anni fa è così improbabile da essere assolutamente impossibile. «I matematici - conclude R. de Brienne - ci obbligano a dedurre l'impossibilità dell'evoluzionismo». L'origine della cellula da un assemblaggio di molecole è ancora più improbabile, se esiste qualcosa di più improbabile dell'impossibile. Gli ipotetici protobionti, immaginati da alcuni protobiologi «sono simili alla cellula quanto le bolle d'acqua possano essere simili all'occhio umano». Altrettanto impossibile è l'origine delle specie e il loro graduale e progressivo svilupparsi l'una dall'altra. Il fenomeno comporterebbe il ritrovamento tra i fossili di un gran numero di forme intermedie ma queste non si trovano! Sono i famosi anelli mancanti, che seguitano imperterriti a mancare. L'esempio più classico, cui l'Autore fa riferimento, è quello degli equidi. Nel 1874 il paleontologo russo Kovalevsky abbozza una successione evolutiva che prevede quattro generi in successione cronologica: Paleotherium > Anchitherium > Hipparion > Equus. Nel 1918 R. Lull traccia un tronco che va dall'Eohippos (in luogo del Paleotherium) all'Equus, da cui Anchitherium e Hipparion si distaccano come rami laterali. «L'indagine geologica, scrive Ch. Déperet negli stessi anni, ha definitivamente accertato che non esistono passaggi graduali tra queste specie». Nel 1951, G. G. Simpson traccia un albero che ha l'aspetto di un cespuglio, che è ormai composto di linee parallele nella genealogia di J. H. Quinn. «La famosa successione graduale dei cavalli - conclude R. Fondi (1980) - consiste, in realtà, di un insieme di elementi spazio-temporali staccati gli uni dagli altri».

Il passaggio dalla scimmia all'uomo incontra due ostacoli: il primo è la difficoltà di spiegare la modifica contemporanea della stazione, del cervello, della faringe, del sistema nervoso centrale. Il secondo è l'esistenza insormontabile di una barriera fra le facoltà intellettuali della scimmia e dell'uomo. E poi, dove sono gli anelli intermedi? Qui incontriamo un esempio classico della frode scientifica, il cranio di Piltdown. Scoperto all'inizio del secolo, questo cranio presentava una volta spaziosa combinata con una mascella scimmiesca. Benché, secondo le teorie in voga, l'anello mancante doveva avere un cervello ancora piccolo associato a una mascella umanoide, esso fu acclamato come la dimostrazione inequivocabile della discendenza dell'uomo dallo scimmione e tenuto per quasi cinquant'anni in mostra in una vetrina del Museo delle Scienze di Londra. Quando si cominciò ad impiegare il carbonio 14 per la datazione dei fossili, esso fu subito applicato all'uomo di Piltdown. Risultò un falso palese: una mascella di gorilla contemporaneo era stata incastrata nel cranio di un uomo medievale. Il falso era rimasto lì per mezzo secolo, davanti agli occhi di scolari e professori, e nessuno se ne era accorto. A questo punto che fanno i sostenitori di una teoria che ha perso nel ridicolo il suo monumento storico? Chiedono scusa, e con la testa chinata cambiano mestiere, o, per lo meno teoria? Nulla del genere. Piltdown (la prova essenziale dell'evoluzionismo, secondo Teilhard de Chardin) resta a dimostrazione della capacità di autocritica della scienza, che va in cerca, invano, di altri anelli mancanti. Sui libri di testo scolastici rimane intatta la vignetta dello scimmione che via via si solleva fino a diventare un gentleman.

A mio giudizio (cfr. Giuseppe Sermonti, La luna nel bosco, Rusconi, Milano, 1985), la discendenza dell'uomo da uno scimmione è un antico mito (altri miti e favole parlano della discendenza della scimmia dall'uomo), che ha l'unica base nella somiglianza morfologica e molecolare tra l'uomo e gli scimmioni senza coda (pongidi), e nel pregiudizio gnostico che il bestiale preceda l'umano. In realtà i paleoantropologi hanno smesso di parlare dell'antenato scimmiesco, da quando è risultato che nella morfologia, nell'embriologia, nell'andatura, nella biologia molecolare, l'uomo è molto più "originario" e lo scimmione "derivato", per tacer del fatto che fossili di scimmioni non si trovano oltre qualche centinaio di migliaia di anni fa, e ominidi fossili datano da quattro, cinque o più milioni di anni. Scrive Alan R. Templeton: «Il camminare sulle nocche - non il bipedismo - è la novità evolutiva nella locomozione dei primati e... molti caratteri ominidi sono primitivi mentre le controparti nelle scimmie africane sono derivate». Ma non diciamolo ai bambini delle elementari, cui seguitiamo a mostrare una scimmia china appoggiata sulle nocche che gradualmente si erige a formare l'uomo.

L'evoluzionismo, particolarmente quello neo-darwiniano, nonostante troppe volte smentito, seguita a sedere tranquillo sugli scranni del sapere e a far mostra di sé sulle targhe di molti illustri istituti in tutto il mondo. Con esso è invalso negli ambienti scientifici uno stile accademico elusivo e manicheo, che è andato a detrimento di tutta la scienza. Mi piace citare, in conclusione, una frase di W. H. Thompson, studioso d'evoluzione, che fu incaricato a stilare l'introduzione a una edizione centennale dell'Origine delle Specie di Darwin: «Questa situazione, dove uomini si riuniscono alla difesa di una dottrina che non sono capaci di definire scientificamente, e ancor meno di dimostrare con rigore scientifico, tentando di mantenere il suo credito col pubblico attraverso la soppressione della critica e l'eliminazione delle difficoltà, è anormale e indesiderabile nella scienza».




Chi critica Darwin non è un bigotto, a differenza di certi darwinisti

(da Il Foglio, 20 settembre 2005)


Togli dalla scienze naturali il mistero della bellezza, dello scopo e del significato e avrai l'evoluzionismo. Non è un'ipotesi né un fatto, è un metodo, o un castigo. L'esistenza, proclamò Richard Dawkins, "non è più un mistero", da quando l'enigma è stato risolto, da Darwin e Wallace.

Ma l'enigma è ancora là. Ho visitato gli Usa lo scorso maggio e sono stato coinvolto nella discussione sull'insegnamento del darwinismo, a Seattle e in Kansas. E' uno strano contenzioso, tra i darwinisti, sostenitori della necessità di tenere la Religione lontana dalle classi di Scienze (come vuole il Primo Emendamento della Costituzione) e i fautori dell'Intelligent Design (ID, con base a Seattle), che sostengono che la religione non c'entra, e si tratta solo di presentare il darwinismo criticamente, contrapponendogli altre ipotesi. Per i darwinisti, che in Kansas hanno disertato il dibattito, ogni oppositore a Darwin è un malcelato fondamentalista religioso. In Italia, per inciso, l'argomento religioso non è mai entrato nel dibattito. Dibattito che, in realtà, non c'è, perché i darwinisti sono così convinti di aver troppo la ragione dalla loro parte da non voler perdere tempo a discutere.

G. L. Schroeder, nel suo Genesi e Big Bang (1991), documenta esaurientemente che il Genesi biblico non è affatto una cosmogonia mitologica, o un racconto per bambini, come lo definiscono i darwinisti, ma un sapiente resoconto scientifico, paragonabile alla moderna cosmologia. "Essi sono realtà identiche descritte in termini diversi". Basta confrontarlo con l'Enuma Elish assiro-babilonese (secondo millennio), popolato di draghi mostruosi nati dalla congiunzione nel caos di Apsu e Tiamat. Anche la teogonia esiodea, con Urano evirato, Titani, Ciclopi e Giganti è un'epopea. Nel Genesi non appare un Marduk (o un Bel) che seziona il corpo del mostro Tiamat in due parti, come valve di conchiglia, a formare il firmamento e la terra. Né un Briareo dalla cento braccia. E' sobriamente descritta l'origine dell'universo dal nulla ("Fiat lux"), seguita da un periodo di assestamento astrofisico, poi dalla comparsa della vita vegetale e animale dalle acque e dalla terra. A coronamento dell'opera è creato l'uomo perché assoggetti la terra. Si tratta di una teoria dell'evoluzione ante litteram. Dal big bang dell'astrofisica moderna all'origine della vita, delle specie e dell'uomo, lo scenario moderno segue sostanzialmente il modello biblico. I grandi gruppi dei viventi vi appaiono ad ondate successive ed il corteo è chiuso dall'uomo, il più perfetto tra gli esseri.


Genesi e selezione naturale

Una differenza tra i due quadri merita attenzione: nella Bibbia le grandi classi dei viventi compaiono successivamente e autonomamente, nell'Evoluzionismo derivano gradualmente ognuna dalla trasformazione della precedente: dai pesci gli anfibi, dagli anfibi i rettili, dai rettili i mammiferi. Il processo di trasformazione delle classi è per Darwin una necessità logica, per evitare il ricorso a emergenze successive che potrebbero richiedere interventi ripetuti del Creatore. In due parole, l'Evoluzionismo è una revisione del Genesi, o, sul piano religioso, una eresia biblica. Il Genesi proclama: "Dio disse: Vi sia luce. Vi sia un firmamento. Le acque si ammassino. La terra verdeggi. Vi siano luminari. Le acque brulichino. La terra produca esseri viventi. Facciamo l'uomo.". Darwin conclude il suo Origin of Species inneggiando alla Vita "con le sue diverse potenze, infuse (breathed) originariamente dal Creatore in poche forme o una". L'ateismo è un predicato posteriore e non necessario del darwinismo. Sul piano scientifico, prima della comparsa del Disegno Intelligente, erano di fronte due scuole: quella "inglese" (per forze esterne), che prospettava una evoluzione dei gruppi viventi per aggiunte adattative e terminali di organi o funzioni, quella "francese" (per spinte interne) che sosteneva invece che un gruppo che ha già imboccato una strada non può più uscirne: un rettile specializzato non può dar più luogo a un mammifero. La scuola inglese esclude un 'disegno', quella francese ne richiede diversi, alla comparsa di ogni nuovo gruppo.

Per Grassé (1973) la nascita dei gruppi viventi avviene da una linea di forme arcaiche, la linea delle madri, da cui sgorgano le linee specializzate ("come da un rizoma di fragola, da cui spuntino volta a volta dei fusticini"). La scuola inglese presuppone tra gruppo e gruppo la presenza di "forme intermedie", quella francese (Grassé è autore di un Traité de zoologie in 28 volumi) le esclude. La disputa tra le due scuole scientifiche è rimasta confusa tra scontri religiosi e risse politiche e accademiche, e si finisce col discutere se Iddio abbia voce in capitolo, oppure se ne possa fare a meno. Per me, essendo il sommo di tutti i misteri, Iddio dovrebbe essere tenuto fuori dalla controversia, dalle discordie tra fossili e molecole, e l'evoluzione dovrebbe divenire una materia seria, discutibile e problematica, lontana dalle leggende metropolitane, dalle cellule politiche, dalle sacrestie. Tanto il Genesi che la teoria della Selezione Naturale vanno collocati al loro posto nella Storia della Scienza antica e recente. Eppure, nella piccola Italia, quando la Moratti osò proporre uno spostamento di qualche anno nell'insegnamento dell'evoluzione, si ebbe un sollevamento accademico e popolare, fu nominata una commissione di saggi e si decise che l'insegnamento della visione scientifica (quindi darwiniana) dovesse essere impartito il prima possibile e dovesse essere monoculturale, come una bibbia laica, come un catechismo per bambini.

Una cosa seguita a offendermi: che scienziati della statura di Cuvier, di Von Baer, di Driesh, di Rosa, di D'Arcy Thompson, di Waddington, di Thom, di Portmann, di Loevtrup, di Imanishi, di Lima-de-Faria, di Varela, di Paterson, di Sibatani, per citarne alcuni, siano liquidati con supponenza dagli ultimi epigoni del darwinismo come ingenui fondamentalisti religiosi. Ho frequentato le riunioni degli Strutturalisti di Osaka, negli anni Ottanta-Novanta, e quelle dei sostenitori del Disegno Intelligente, quest'anno. Di religione non ho sentito parola.

Giuseppe Sermonti
Ordinario di Genetica all'Università di Perugia


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